Tutto lo svolgimento,
e sul piano genericamente culturale, e su quello prettamente estetico,
d’arte veneta del dopoguerra (ma, oserei affermare, dell’intero secolo
scorso), ha sviluppato continuativamente una linea che potremmo chiamare
pittorica: un percorso, ciò, in cui le esigenze,gli stimoli, e gli
influssi delle coordinate materiche, o atmosferiche, o luministiche del
colore risono sempre rivelate fondamentali.
Da quella linea,che
ha conosciuto i predecessori, dei capiscuola, glà nel XV e XVI secolo,
con geni come Giorgine e Tiziano, ben pochi fra gli artisti veneti hanno
saputo o voluto deviare. Anzi, molto spesso essa ha continuato a
concupire e conquistare perfino gli artisti di altre regioni che erano
venuti a sciacquare i panni in laguna: come De Pisis, Guidi, Carena,
Semeghini, Saetti, etc.. Anche all’interno di una avanguardia che più
antipittorica ed antiestetica sembrava non poter essere, il movimento
dell’Arte Cinetica e Programmata, il c t,il crinale veneto riuscì a
mantenere e confermare, perlomeno parzialmente,questo DNA,queste
attitudini.
Abbiamo già trattato,
in altre occasioni, delle felici contraddizioni del Gruppo B,
particolarmente di Alberto Biasi, rispetto alle asettiche e dogmatiche
premesse teoriche; e soprattutto rispetto alle inclinazioni
meccanicistiche dei colleghi milanesi. Abbiamo già svolto un analisi
articolata sul lavoro solitario di un esteta della luce e della
materia,quale stato ed Ben Ormenese; ma ora il caso di riprendere ed
approfondire queste considerazioni, rivolgendole anche all’attività di
Franco Costalonga, un Maestro che, a prima vista, parrebbe incline a
seguire solamente percorsi progettuali, ricerche di rodine, sia empirico
che scientifico, sperimentazioni, se non propriamente meccanicistiche,di
impianto precipuamente teorico. Insomma un artista, piuttosto, come si
usava chiamarli negli anni Sessanta e Settanta, un operatore artistico,
abbastanza lontano dalle credenziali di pittoricismo a cui mi riferivo,
e che hanno sempre innervato la pianta della tradizione veneta. Questo
perlomeno sembravano confermare gli oggetti cromocinetici, le sue opere
più note, oltretutto presenti nella collezione della Guggheneim di
Venezia,che sembravano voler custodire e trasmettere il segreto di un
dinamismo cromatico capace di occupare integralmente lo spazio
bidimensionale e tridimensionale dell’opera e dallo stesso tempo di
ritirarsi completamente dalla campitura virtuale, eludendo la propria
fisicità immaginaria. In realtà, perfino in queste prove l’interesse di
Costalonga non rivolto solo agli aspetti puramente meccanicistici e
quantistici della visione, con le conseguenti variabili legate alla
rifrazione luminosa ed alla densità cromatica; egli cerca anche di
individuare una impaginazione formale ed una struttura plastica che
condizioni lo spettatore, stimolandone la percezione e attraendolo verso
un universo di apparente allusività cromatica.
Si tratta del primo
passa o verso la ideazione di opere, come gli Oggetti quadro, i
Pseudorilievi Riflex, che tenderanno tutte a sottolineare la dimensione
dell’illusività ottica, ma spostando la ricerca sul piano
dell’individuazione di suggestioni estetico-luministiche. Questi, però,
sono passaggi che esamineremo in seguito, ricostruendo cronologicamente
il viaggio di Costalonga; ora conviene risalire proprio al momento
iniziale della sua attività, per scoprire come nelle esperienze
giovanili quel pittoricismo di matrice veneta, avesse intimamente
influenzato anche la partenza della sua attività. Nei dipinti,
generalmente di piccolo formato, dei primi anni Sessanta, come Angelo
rosso e Angelo bianco, Presenze, Crocefissione, Annunciazione, etc, la
sensibilità, il gusto per materia e colore, appare davvero evidente, per
di più sostenute dall’utilizzo di terre, di patine, di lacche, di
supporti smaltati, tendenti a rinforzare un certo effetto di lucentezza,
brillantezza, o di epifania cromatica. Oppure esprimendosi con un
fraseggio ricco, secondo Leone Minassian, di intonazioni prevalentemente
limitate ad un'unica costante coloristica dai rosa più delicati e
preziosi, ai sanguigni più accesi e robusti. Poi l’approccio nei
confronti dell’esecuzione artistica comincia a spostarsi su direzioni
più artigianali e meccanicistiche allo stesso tempo, con l’inoltrarsi
nel campo dell’incisione, nell’ambito della quale l’artista veneziano, a
conferma del suo impegno eminentemente strumentale, perverrà a una
significativa molteplicità di varianti cromatiche e compositive,
ottenute nella stessa opera tramite la suddivisione della medesima
lastra in più pezzi e il loro variabile accostamento, attraverso il
quale, mediante l’abile impiego di raffinate tecniche di stampa,
calcografiche e calcotipiche, ottenere multiformi e diversificate
tirature. Ricerche, queste ultime,che verranno indirizzando, con sempre
maggior consapevolezza, gli interessi di Costalonga intorno alle
problematiche connesse alla riproducibilità e moltiplicabilità
dell’opera. Verrà così maturando la sua adesione al nuovo gruppo
denominato Dialettica delle Tendenze che esordirà nell’ottobre del 1965
alla Galleria Arte-centro di Milano. Venivano in tal modo poste le
premesse per un sempre maggiore approfondimento delle esigenze e delle
fenomenologie della modernità, tramite l’accostamento anche alle nuove
sperimentazioni e ai nuovi materiali messi in essere dai più recenti
sviluppi tecnologici e industriali.
Infatti, prima con i
Rilievi speculari, frutto di aggettanti superfici pensionate, generanti
forme tridimensionali variamente ordinate e combinate in sempre nuove e
articolate strutturazioni, a significare un sempre più complesso e
insieme concreto e virtuale dominio dello spazio, poi con i già citati
Oggetti cromocinetici, costituiti dal perfetto allineamento ortoganale,
all’interno di trasparenti scatole di plexiglass, di un numero
determinato di semisfere riflettenti, nelle quali era stato inserito un
cilindretto colorato, Costalonga sceglie definitivamente di esplorare
gli universi del movimento e della forma virtuale, iniziando a
scandagliare tutti i territori, tutti i campi operativi legati ai temi
della percezione ottica e della rifrazione luminosa. Sono gli anni del
gruppo Sette Veneto, collegato al Centro Operativo Sincron di Bruno
Munari, e sono anni in cui Costalonga sempre più attratto e interessato
ad una dimensione di spazio in grado riprodurre tutta una serie di
immagini coordinate con segno positivo e negativo che vuol dire con
effetti dimensionali e direzionali diversi a seconda dello spostamento
del riguardante, nella chiara volontà di sottolineare la mobilità, la
varietà e la non definitorietà del reale, ma anche nell’intento
demistificatorio di mostrare che non esistono illusioni, ma soltanto
verità di scoprire investigare. Ma anche in questa fase di particolare
attenzione per gli aspetti più specificamente scientifici, quel metodo
estremamente rigoroso e tecnicistico ancora permetteva che affiorasse
altresì e prendesse il sopravvento la stupefatta meraviglia del colore,
a testimonianza di come Costalonga non intendesse, peraltro verso,
rinunciare alla dimensione auratica dell’arte.
Dopo gli Oggetti
cromocinetici, l’artista veneziano ormai diventato un punto di
riferimento per una nuova generazione di ricercatori, tanto da essere,
nel 1972, invitato alla mostra del Grand Palais di Parigi, Grands et
jeunnes d’aujourd hui – Art cinetique, sposta la propria azione anche
sul versante plastico, e con la serie degli Elicoidi doppi si avvia ad
indagare la forma in una direzione strutturale. Nel1970 presenta alla
Biennale di Venezia la struttura ad Elicoidi doppi, in cui riflette
inequivocabilmente sulle esperienze costruttiviste russe della prima
metà del secolo. Gli Elicoidi doppi, inizialmente realizzati in legno e
poi in materiali plastici, crescono secondo movimenti a spirale per
piccoli spostamenti di elementi sovrapposti, nelle cui dinamiche sembra
discorrere interessanti affinità con le costruzioni a superficie
sviluppabile di Anton Pevsner.
Ma, di là dalle
affiliazioni, ciò che mi sembra importante sottolineare come luce e
modularità siano i mezzi attraverso i quali la ricerca di Costalonga
progressivamente approdi ad una concezione ambientale dell’arte. Ecco,
indipendentemente dalla scelta tridimensionale,quello che appare sempre
più evidente il tentativo di delimitare il terreno dei propri studi,
delle proprie sperimentazioni e della propria fattuale operatività, nel
campo, anzi nelle sterminate distese della struttura modulare, che, per
Costalonga come per altri artisti della sua e della precedente
generazione, primo fra tutti lo spagnolo Francisco Sobrino, rimane il
centro propulsivo, il motore immobile di ogni identificazione e di ogni
aggregazione formale. Egli sente davvero l’urgenza di realizzare
elementi di perse semplici al massimo grado, ma che contengono in nuce
la possibilità di costituire complessi dotati di massima coerenza, ma
diversi fra loro…”
E’ certamente rivolta
in questa direzione la scelta del 1973 di concentrare buona parte delle
proprie sperimentazioni su un elemento semplice come il cilindretto,
considerato capace di rappresentare una unità formale essenziale e
aggregabile, ed allo stesso tempo di attivare, attraverso procedimenti
di rifrazione luminosa, una infinita sequenza di variazioni cromatiche
sulla superficie dell’opera. L’obiettivo è quello di addensare in un
tessuto costituito estremamente compatto e collegato, un intreccio molto
fitto ma perfettamente scandito di figure geometriche, che possano
continuare a riprodursi otticamente, e soprattutto a mirare le proprie
gamme cromatiche, a seconda delle diverse angolazioni di visuale. Per
arrivare a questi risultati, Costalonga, ”…dopo un lungo studiosi
gradienti di luminosità, comincia a tagliare, secondo diverse
inclinazione alcuni cilindretti di legno, poi saranno di plastica, per
trovare il migliore angolo di incidenza della luce sulla superficie
ellittica risultante. Alla fine la scelta cadrà su un taglio con angolo
di 45 gradi,considerato il più adatto a raggiungere quei risultati
cromatico luministici che Bruno Munari riuscirà compiutamente a
descrivere: “Considerato che il gradiente di luminosità di un colore è
in relazione alla quantità di bianco e di nero fusi al colore stesso, e
considerato che il bianco e il nero non sono colori, ma presenza o
assenza di luce, Costalonga stabilisce di catturare l’ombra o la luce
sul colore mediante variazioni dell’orientamento del supporto modulare.
Questo supporto modulatore della superficie percettiva è un cilindro
sezionato a 45 gradi che sarà sistemato sul campo visivo secondo la
struttura scelta. Il taglio a 45 gradi produce nel cilindro una
superficie ellittica che diverrà sede del colore. La disposizione dei
moduli lungo le linee della struttura dell’insieme, secondo una
rotazione programmata, darà una certa esposizione alle facce ellittiche.
L’incidenza della luce sul colore così esposto, darà le varianti di
luminosità…”
Se dunque, con queste esperienze, in questa fase ci
siamo profondamente addentrati nella sfera dei mangiamenti
percettivi, e dell’illusività e della virtualità formale, per il
mezzo, però, di strumenti assolutamente concreti e scientifici,
sempre preminente, evitale nella confezione dell’opera stessa,
rimane l’interesse e soprattutto l’affascinazione del Maestro per le
magie dell’universo-colore.
Ed infatti, anche quando egli viene definendo il
chiaro scuro cromatico come “…diminuzione del grado di saturazione
di un colore,non per mescolanza con un altro, per cui darebbe luogo
a un derivato, ma all’aggiunta di bianco e nero.”, viene a
confermasi tutta la sua attenzione per la fase empirico-scientifica
del processo operativo,ma anche il mai dimesso entusiasmo perle
meraviglie che il mondo delle gamme cromati che può continuare ad
offrire. Come,quando nelle botteghe degli artisti antichi, ci si
impadroniva dei segreti del pigmento, delle terre, dei solventi e
dei collanti. Questa, direi, duplicità di carattere della sua
attività, uno più tecnicistico, l’altro più estetizzante, ha
comunque continuato a convivere nelle ricerche successive in cui
Costalonga, ha mantenuto l’utilizzo dei cilindretti, come i cicli
”Sfumature”, ”Sui gradienti di luminosità”, “Espansioni”, “Mocubi”.
Con le “Espansioni”, ad esempio, egli ha affrancato la composizione
da ogni dipendenza, da ogni obbligo di dislocazione
ortogonale,”…applicando i suoi cromatici cilindretti secondo
dinamiche libere, quasi nella rappresentazione di ammassi nebulosi.
L’effetto visivo che si prova di fronte a queste opere è di cercare
di ricostruire concatenazioni e sequenze di cilindretti, ora
seguendo le corrispondenze cromatiche, ora invece le luminosità
corrispondenti, in un continuo intrecciasi di costellazioni
possibili.”
Ma è con i cicli dei “Pseudorilievi” e dei”Reflex” e
“Luci riflex”, che il Maestro veneziano riesce a dimostrare tutta la
propria vena creativa, ed un intima, biologica consonanza con il
firmamento dello spazio luce. I “Pseudorilievi”sono, con le parole
di Dino Marangon,”…costituiti dall’inserimento a perpendicolo lungo
linee parallele equidistanti, su un supporto uniformante rigettato,
di lamine specchianti di differente forma e misura che riflettendo e
distorcendo l’immagine e della superficie circostante, vanno creando
significati volumi virtuali che, suscitando sensibili, ancorché
illusorie vibrazioni spaziali e luminose, provocano effetti di
rilevante modulazione ritmica.”
Ma questa è la puntuale e calibratissima spiegazione
di cosa siano, di come effettivamente siano strutturati i
“Pseudorilievi”. Quello che ancora non dice è come essi riescano a
magicamente condurre lo sguardo catturato dello spettatore verso
mille tangenti luminose, a dilatare lo spazio dell’opera in termini
di il limite, a creare un sovrapporsi di piani reali e illusori che
si confrontano con una sola, eppure indefinibile, campitura, ad
evocare infine una misteriosa superficie lunare, infinitamente
lontana e gioiosamente tangibile al tempo stesso. Nei
“Pseudorilievi” Costalonga è davvero riuscito a rappresentare, forse
perfino oltre, al di là delle sue prime intenzioni, la stupefacente
bellezza di una nebbia luminosa, di una visione intellettuale e
reale al tempo stesso, regalandoci la dimensione dell’infinito, di
un infinito concreto.
E con i “Reflex”, questa suggestione sembra
continuare; anzi avanzare verso i territori dell’ombra luminosa,
della luce che scaturisce inopinatamente dal mistero del buio, ma
che non è frutto del l’accidente e della casualità, bensì di una
logica sapientemente organizzata, programmata e condotta con
sensibilità e fiuto luministico all’incontro con una nuova categoria
dell’arte: una sorta di neo-barocco in chiave
tecnicistica-elettrica-psichedelica. I “Reflex” sono
“…caratterizzati dall’inserimento su ampli velari di tessuto non
tessuto in friselina, di innumerevoli, sporgenti lamelle irregolari
in PVC…” “metallizzato, “…le cui superfici riflettenti, ad ogni
minimo mutamento di luce moltiplicano nell’ambiente circostante
un’infinità di lampeggiamenti, brillii, iridescenze multicolori,
dando origine a inafferrabili e coinvolgenti atmosfere
cromatico-luminose, le cui pulsazioni generano un continuum
variabile le cui multiformi sequenze visuali potranno
essere…potenziate a seconda della disposizione e della intensità
delle fonti luminose colorate che corredano l’opera.” E in queste
opere la stessa fantasia dello spettatore sembra naturalmente
collegarsi con l’ideazione dell’artista, in un abbraccio sensoriale
e creativo, in un’estasi percettiva ed estetica, continuamente
stimolata da luminose e fantasmiche forme senza volume. Dunque,
quella sorta di gabbia strutturale, organizzata con rigore
scientifico, che contraddistingue tutti i lavori di Costalonga,
pare, alla fine smarginarsi, sfaldarsi e venir sopraffatta dalla
superiore pregnanza della dimensione evocativa e fantastica della
luce-colore. A conferma di ciò ecco uno degli ultimi cicli del
Maestro, le “Destrutturazioni”, tutto eseguito sul piano, senza
l’inserimento di alcun elemento tridimensionale, ma solo con
l’ausilio di maschere riflettenti di colore, che permettono la
definizione di reticoli strutturanti, di illusorie masse aggettanti,
in una suprema finzione di architetture che implodono, vengono
squassate e devastate, o comunque cedono la loro consistenza al
dominio del vuoto liquefatto, dell’energia incandescente.
Siamo nel campo del più tradizionale pittoricismo,
anche se ancora una volta Costalonga non cerca di abbagliarci con il
primo effetto visivo, ma, piuttosto, con la più sottile, sublimante,
profondità evocativa della visione. Anche in questa occasione lo
scienziato ha ceduto il passo all’artista.
LE STRUTTURE DELLA VISIONE IN FRANCO COSTALONGA
Carlo Franza
Le ricerche del secondo dopoguerra e in special modo
quelle degli anni Sessanta e Settanta, rientrano in quel modulo
cosiddetto della neoavanguardia o di seconda avanguardia, nel senso
di coglierne il tramite con lo spirito delle avanguardie storiche.
Mi preme sottolineare per la seconda avanguardia la
definizione di avanguardia che muove il collega Giorgio Bareri
Squarotti dell’Università di Torino: “Il fenomeno, tipico dell’età
contemporanea, del formarsi di gruppi più o meno ristretti e di
movimenti che pongono come fondamento della loro azione polemica
radicale contro la tradizione e, al tempo stesso, contro la
situazione ufficialmente legittimata delle varie arti, in nome di
rinnovamento radicale delle strutture, di linguaggi, di tecniche,
coinvolgendo nella loro azione eversiva la stessa società intesa
come espressione di conformismo e anche come “figura
dell’ingiustizia sociale e politica”.
L’esordio in pittura di Franco Costalonga lo mostra
subito interessato a una sottile modulazione cromatica, a una sorta
di analisi scientifica del colore, a una distillazione dei toni che
creano una vera e propria struttura di visualizzazione ovvero la
luce colore.
Nella seconda metà degli anni Settanta, quando ormai
era entrato a far parte del gruppo”Dialettiche delle Tendenze”
fondato nei primi anni Sessanta a Venezia da Domenico Cara. Franco
Costalonga si porta vicino alle esperienze di Bruno Munari collegato
al Centro Sincron di Brescia, coordinato da Armando Nizzi.
Del movimento veneziano hanno fatto parte anche Sara
Campesan, Perugini, Battilana e altri ancora., tutti sollecitati a
stabilire una convergenza tra i progressi scientifici, tecnologici
ed estetici, tutti operanti su una dinamizzazione plastica della
visione.
Questo gruppo,e altri come il torinese CRAS, il
milanese Diorama divenuto poi gruppo T, il gruppo N di Padova, il
gruppo Cibernetico V che volle operare per un possibile incontro
moltiplicato e non distante dalle premesse operative del più noto
dei gruppi tedeschi, quello “O”, e ancora il gruppo del Cenobio a
Milano, poi il MID, i “Corpi Plastici”, fino al Gruppo I di Roma,
scandiscono a livello nazionale il nuovo, volgono l’arte verso una
ricerca oggettiva e concreta ma anche formale e visuale. Tutti, pur
non appartenendo propriamente alle cosiddette “equipes cinetiche”,
ma sicuramente innervati da motivati interessi a studi, ricerche e
applicazioni estetiche, hanno cercato di tradurre visivamente
momenti di poetica generale, acquisizioni reciproche di
utilizzazione ideografica,giungendo poi a una situazione di
criticismo, in perfetta sintonia con il destino delle
sperimentazioni.
Hanno inseguito si diceva, compreso Costalonga, lo
spazio attivo, il gioco lucidissimo dell’environnement, non offrendo
resistenza alle scelte di base e alle futuribilità estetiche
compreso il vincolante individualismo dell’artista.
Lavorare, per questi, è servito a movimentare
architetture e oggetti industriali. Così ecco le superfici in
divenire, i flussi guidati da sabbie e oli, i quadro oggetto, gli
itinerari, le programmazioni del multiplo e i rapporti animati,
tutto sconfina in questo optimum tecnologico che offre diversi
versanti al design. Gruppi, vedremo, che operano a sé stanti, senza
interferenze, che gestiscono la poetica a freddo unitamente all’idea
del costruire.
Opere che rispondono allo sperimentalismo estetico,
un modo in parte nuovo subentrato nell’arte contemporanea, basti
pensare ai rotolief di Marcel Ducham del 1936 e ai ready made del
1917, senza dimenticare “le macchine inutili”di Bruno Munari e le
idee di Victor Vasarely sulla moltiplicazione e diffusione
dell’opera d’arte manuale, meccanica, usurata si può dire per molti
aspetti proprio dal dominio delle vecchie interferenze pittoriche.
Nel lavoro di Costalonga, come in molti suoi
contemporanei che attingono alle nuove aree della visione e
progettazione, mancano le possibili proposizioni a livello
inconscio, vale a dire le emozionali, ovvero la fronda irrazionale
che diventa spesso estasi poetica. Esiste invece il fluttuate
dinamismo dell’oggetto, come l’ambientazione che elimina ogni
sentimentalismo, facendo ritorno al puro, all’essenziale, al
controllo degli elementi e dei sussidi che diventano poi linguaggio
puro e realtà in movimento.
Sperimentalismi e costruzioni che coincidono con la
percettività archetipica, che continuano a quantificare ciò che
vuole oggi l’industria e il pubblico esigente alla ricerca – sotto
spinte ultra e post consumistiche – di immagini per la vita, la cui
serialità spinge a rileggere i territori dell’arte, tutto inteso
nell’integrazione ed espressione dei tempi che ci accompagnano.
La storia di Costalonga ci ha dato modo di vedere
negli anni forme in materiale plastico in tensione, strutture a
doppio elicoide, multipli sincron, oggetti cromacinetici, quadri
oggetto su gradienti di luminosità, grafiche programmabili, strutture
modulari sui movimenti della simmetria; da tutto ciò s’è avvertito
la trama dello spazio attivo, superfici in divenire orchestrate da
una poetica a freddo, e quel che più conta, la sollecitazione di
una serie di micro percezioni e nuove dinamiche percettive che
utilizzano anche l’incidenza della luce.
Dunque, movimento, effetti grafici, effetti di
composizione, di materiali, di volumi e di interazione di colori. Il
colore è una delle componenti della struttura oggettuale e
percettiva del Costalonga, e persino le strutture composte da tanti
pioli cilindrici sfaccettati in diagonale e in diagonale crescenti
di luce, carichi di tensione cromatica, per cui anziché impiegare la
luce ambientale la emanano di per sè con il colore, sono opere in
movimento virtuale che hanno i loro predecessori nelle pratiche
illusorie del trompe l’oeil, nelle cosiddette anamorfosi, ovvero
deformazione degli oggetti negli specchi, e non ultimo nelle
macchine cinetiche che dalla Bauhaus – si veda il “Lichtrequisit” di
Moholy Nagy come modulatore di luce – a Schoeffer con la sua “Torre
spazio dinamica” costituiscono la prima grande realizzazione
cinetica.
L’arte luminocinetica dell’ambiente creata con
l’aiuto della luce diretta (Morellet), radente (Le Parc), nera (De
Marco), cromatica (Schoeffer, Boto, Vardanega), polarizzata (Stein),
sonora (Agam), vive con Costalonga la sua “profondità” e come Sotto
un movimento vibratorio che provoca un effetto cangiante.
A osservarle queste opere di Costalonga si
qualificano come trasformabili, sfruttano le scoperte della scienza
e ai successi della tecnologia, mettendo in evidenza come esse
possano essere il frutto di più collaborazioni tra artisti,
intellettuali, ingegneri, psicologi e teorici dell’arte.
La retina in chi guarda è come eccitata, vive
pulsioni, convulsioni e risposte forti sul piano della confusione
ottica, così le strutture di Costalonga utilizzano differenti figure
geometriche, la sovrapposizione di trame o la giustapposizione dei
colori, l’irradiazione e la diffusione di colori, la divisione per
intensità, i contrasti simultanei, la diminuzione e la crescita di
un colore e di un tono, l’interferenza di colori, fino a provocare
interazione intensa tra ambiente fisico e psicologico.
Luce, colore e movimento, evolve in Costalonga anche
nell’uso del fenomeno cinetico tridimensionale,con il ricorso a
oggetti in plexiglas, a specchi, a fili di nylon, a elementi insomma
portano lo spazio a evolversi verso una cosmologia in cui tutto
svela le relazioni all’interno del mondo.
E una filosofia strettamente legata a una sensibilità
quasi scientifica che si risolve in opere cosiddette “Tecnologiche”
in cui si avverte una luce stroboscopia, portando il problema e
l’alfabeto dei colori a soluzioni nuove e raffinate.