FRANCO COSTALONGA

"DYNAMIC ART"
percorsi sul movimento

 

IL LABORATORIO DELLA PITTURA

Giovanni Granzotto

 

Tutto lo svolgimento, e sul piano genericamente culturale, e su quello prettamente estetico, d’arte veneta del dopoguerra (ma, oserei affermare, dell’intero secolo scorso), ha sviluppato continuativamente una linea che potremmo chiamare pittorica: un percorso, ciò, in cui le esigenze,gli stimoli, e gli influssi delle coordinate materiche, o atmosferiche, o luministiche del colore risono sempre rivelate fondamentali.
 

Da quella linea,che ha conosciuto i predecessori, dei capiscuola, glà nel XV e XVI secolo, con geni come Giorgine e Tiziano, ben pochi fra gli artisti veneti hanno saputo o voluto deviare. Anzi, molto spesso essa ha continuato a concupire e conquistare perfino gli artisti di altre regioni che erano venuti a sciacquare i panni in laguna: come De Pisis, Guidi, Carena, Semeghini, Saetti, etc.. Anche all’interno di una avanguardia che più antipittorica ed antiestetica sembrava non poter essere, il movimento dell’Arte Cinetica e Programmata, il c t,il crinale veneto riuscì a mantenere e confermare, perlomeno parzialmente,questo DNA,queste attitudini.
 

Abbiamo già trattato, in altre occasioni, delle felici contraddizioni del Gruppo B, particolarmente di Alberto Biasi, rispetto alle asettiche e dogmatiche premesse teoriche; e soprattutto rispetto alle inclinazioni meccanicistiche dei colleghi milanesi. Abbiamo già svolto un analisi articolata sul lavoro solitario di un esteta della luce e della materia,quale stato ed Ben Ormenese; ma ora il caso di riprendere ed approfondire queste considerazioni, rivolgendole anche all’attività di Franco Costalonga, un Maestro che, a prima vista, parrebbe incline a seguire solamente percorsi progettuali, ricerche di rodine, sia empirico che scientifico, sperimentazioni, se non propriamente meccanicistiche,di impianto precipuamente teorico. Insomma un artista, piuttosto, come si usava chiamarli negli anni Sessanta e Settanta, un operatore artistico, abbastanza lontano dalle credenziali di pittoricismo a cui mi riferivo, e che hanno sempre innervato la pianta della tradizione veneta. Questo perlomeno sembravano confermare gli oggetti cromocinetici, le sue opere più note, oltretutto presenti nella collezione della Guggheneim di Venezia,che sembravano voler custodire e trasmettere il segreto di un dinamismo cromatico capace di occupare integralmente lo spazio bidimensionale e tridimensionale dell’opera e dallo stesso tempo di ritirarsi completamente dalla campitura virtuale, eludendo la propria fisicità immaginaria. In realtà, perfino in queste prove l’interesse di Costalonga non rivolto solo agli aspetti puramente meccanicistici e quantistici della visione, con le conseguenti variabili legate alla rifrazione luminosa ed alla densità cromatica; egli cerca anche di individuare una impaginazione formale ed una struttura plastica che condizioni lo spettatore, stimolandone la percezione e attraendolo verso un universo di apparente allusività cromatica.
 

Si tratta del primo passa o verso la ideazione di opere, come gli Oggetti quadro, i Pseudorilievi Riflex, che tenderanno tutte a sottolineare la dimensione dell’illusività ottica, ma spostando la ricerca sul piano dell’individuazione di suggestioni estetico-luministiche. Questi, però, sono passaggi che esamineremo in seguito, ricostruendo cronologicamente il viaggio di Costalonga; ora conviene risalire proprio al momento iniziale della sua attività, per scoprire come nelle esperienze giovanili quel pittoricismo di matrice veneta, avesse intimamente influenzato anche la partenza della sua attività. Nei dipinti, generalmente di piccolo formato, dei primi anni Sessanta,  come Angelo rosso e Angelo bianco, Presenze, Crocefissione, Annunciazione, etc,  la sensibilità, il gusto per materia e colore, appare davvero evidente, per di più sostenute dall’utilizzo di terre, di patine, di lacche, di supporti smaltati, tendenti a rinforzare un certo effetto di lucentezza, brillantezza, o di epifania cromatica. Oppure esprimendosi con un fraseggio ricco, secondo Leone Minassian, di intonazioni prevalentemente limitate ad un'unica costante coloristica dai rosa più delicati e preziosi,  ai sanguigni più accesi e robusti. Poi l’approccio nei confronti dell’esecuzione artistica comincia a spostarsi su direzioni più artigianali e meccanicistiche allo stesso tempo, con l’inoltrarsi nel campo dell’incisione, nell’ambito della quale l’artista veneziano, a conferma del suo impegno eminentemente strumentale, perverrà a una significativa molteplicità di varianti cromatiche e compositive, ottenute nella stessa opera tramite la suddivisione della medesima lastra in più pezzi e il loro variabile accostamento, attraverso il quale, mediante l’abile impiego di raffinate tecniche di stampa, calcografiche e calcotipiche, ottenere multiformi e diversificate tirature. Ricerche, queste ultime,che verranno indirizzando, con sempre maggior consapevolezza, gli interessi di Costalonga intorno alle problematiche connesse alla riproducibilità e moltiplicabilità dell’opera. Verrà così maturando la sua adesione al nuovo gruppo denominato Dialettica delle Tendenze che esordirà nell’ottobre del 1965 alla Galleria Arte-centro di Milano. Venivano in tal modo poste le premesse per un sempre maggiore approfondimento delle esigenze e delle fenomenologie della modernità, tramite l’accostamento anche alle nuove sperimentazioni e ai nuovi materiali messi in essere dai più recenti sviluppi tecnologici e industriali.
 

Infatti, prima con i Rilievi speculari, frutto di aggettanti superfici pensionate, generanti forme tridimensionali variamente ordinate e combinate in sempre nuove e articolate strutturazioni, a significare un sempre più complesso e insieme concreto e virtuale dominio dello spazio, poi con i già citati Oggetti cromocinetici, costituiti dal perfetto allineamento ortoganale, all’interno di trasparenti scatole di plexiglass, di un numero determinato di semisfere riflettenti, nelle quali era stato inserito un cilindretto colorato, Costalonga sceglie definitivamente di esplorare gli universi del movimento e della forma virtuale, iniziando a scandagliare tutti i territori, tutti i campi operativi legati ai temi della percezione ottica e della rifrazione luminosa. Sono gli anni del gruppo Sette Veneto, collegato al Centro Operativo Sincron di Bruno Munari, e sono anni in cui Costalonga sempre più attratto e interessato ad una dimensione di spazio in grado riprodurre tutta una serie di immagini coordinate con segno positivo e negativo che vuol dire con effetti dimensionali e direzionali diversi a seconda dello spostamento del riguardante, nella chiara volontà  di sottolineare la mobilità, la varietà e la non definitorietà del reale, ma anche nell’intento demistificatorio di mostrare che non esistono illusioni, ma soltanto verità di scoprire investigare. Ma anche in questa fase di particolare attenzione per gli aspetti più specificamente scientifici, quel metodo estremamente rigoroso e tecnicistico ancora permetteva che affiorasse altresì e prendesse il sopravvento la stupefatta meraviglia del colore, a testimonianza di come Costalonga non intendesse, peraltro verso, rinunciare alla dimensione auratica dell’arte.
 

Dopo gli Oggetti cromocinetici, l’artista veneziano ormai diventato un punto di riferimento per una nuova generazione di ricercatori, tanto da essere, nel 1972, invitato alla mostra del Grand Palais di Parigi, Grands et jeunnes d’aujourd hui – Art cinetique, sposta la propria azione anche sul versante plastico, e con la serie degli Elicoidi doppi si avvia ad  indagare la forma in una direzione strutturale. Nel1970 presenta alla Biennale di Venezia la struttura ad  Elicoidi doppi, in cui riflette inequivocabilmente sulle esperienze costruttiviste russe della prima metà del secolo. Gli Elicoidi doppi, inizialmente realizzati in legno e poi in materiali plastici, crescono secondo movimenti a spirale per piccoli spostamenti di elementi sovrapposti, nelle cui dinamiche sembra discorrere interessanti affinità con le costruzioni a superficie sviluppabile di Anton Pevsner.
 

Ma, di là dalle affiliazioni, ciò che mi sembra importante sottolineare come luce e modularità siano i mezzi attraverso i quali la ricerca di Costalonga progressivamente approdi ad una concezione ambientale dell’arte. Ecco, indipendentemente dalla scelta tridimensionale,quello che appare sempre più evidente il tentativo di delimitare il terreno dei propri studi, delle proprie sperimentazioni e della propria fattuale operatività, nel campo, anzi nelle sterminate distese della struttura modulare, che, per Costalonga come per altri artisti della sua e della precedente generazione, primo fra tutti lo spagnolo Francisco Sobrino, rimane il centro propulsivo, il motore immobile di ogni identificazione e di ogni aggregazione formale. Egli sente davvero l’urgenza di realizzare elementi di perse semplici al massimo grado, ma che contengono in nuce la possibilità di costituire complessi dotati di massima coerenza, ma diversi fra loro…”
 

E’ certamente rivolta in questa direzione la scelta del 1973 di concentrare buona parte delle proprie sperimentazioni su un elemento semplice come il cilindretto, considerato capace di rappresentare una unità formale essenziale e aggregabile, ed allo stesso tempo di attivare, attraverso procedimenti di rifrazione luminosa, una infinita sequenza di variazioni cromatiche sulla superficie dell’opera. L’obiettivo è quello di addensare in un tessuto costituito estremamente compatto e collegato, un intreccio molto fitto ma perfettamente scandito di figure geometriche, che possano continuare a riprodursi otticamente, e soprattutto a mirare le proprie gamme cromatiche, a seconda delle diverse angolazioni di visuale. Per arrivare a questi risultati, Costalonga, ”…dopo un lungo studiosi gradienti di luminosità, comincia a tagliare, secondo diverse inclinazione alcuni cilindretti di legno, poi saranno di plastica, per trovare il migliore angolo di incidenza della luce sulla superficie ellittica risultante. Alla fine la scelta cadrà su un taglio con angolo di 45 gradi,considerato il più adatto a raggiungere quei risultati cromatico luministici che Bruno Munari riuscirà compiutamente a descrivere: “Considerato che il gradiente di luminosità di un colore è in relazione alla quantità di bianco e di nero fusi al colore stesso, e considerato che il bianco e il nero non sono colori, ma presenza o assenza di luce, Costalonga stabilisce di catturare l’ombra o la luce sul colore mediante variazioni dell’orientamento del supporto modulare. Questo supporto modulatore della superficie percettiva è un cilindro sezionato a 45 gradi che sarà sistemato sul campo visivo secondo la struttura scelta. Il taglio a 45 gradi produce nel cilindro una superficie ellittica che diverrà sede del colore. La disposizione dei moduli lungo le linee della struttura dell’insieme, secondo una rotazione programmata, darà una certa esposizione alle facce ellittiche. L’incidenza della luce sul colore così esposto, darà le varianti di luminosità…”

Se dunque, con queste esperienze, in questa fase ci siamo profondamente addentrati nella sfera dei mangiamenti percettivi, e dell’illusività e della virtualità formale, per il mezzo, però, di strumenti assolutamente concreti e scientifici, sempre preminente, evitale nella confezione dell’opera stessa, rimane l’interesse e soprattutto l’affascinazione del Maestro per le magie dell’universo-colore.

Ed infatti, anche quando egli viene definendo il chiaro scuro cromatico come “…diminuzione del grado di saturazione di un colore,non per mescolanza con un altro, per cui darebbe luogo a un derivato, ma all’aggiunta di bianco e nero.”, viene a confermasi tutta la sua attenzione per la fase empirico-scientifica del processo operativo,ma anche il mai dimesso entusiasmo perle meraviglie che il mondo delle gamme cromati che può continuare ad offrire. Come,quando nelle botteghe degli artisti antichi, ci si impadroniva dei segreti del pigmento, delle terre, dei solventi e dei collanti. Questa, direi, duplicità di carattere della sua attività, uno più tecnicistico, l’altro più estetizzante, ha comunque continuato a convivere nelle ricerche successive in cui Costalonga, ha mantenuto l’utilizzo dei cilindretti, come i cicli ”Sfumature”, ”Sui gradienti di luminosità”, “Espansioni”, “Mocubi”. Con le “Espansioni”, ad esempio, egli ha affrancato la composizione da ogni dipendenza, da ogni obbligo di dislocazione ortogonale,”…applicando i suoi cromatici cilindretti secondo dinamiche libere, quasi nella rappresentazione di ammassi nebulosi. L’effetto visivo che si prova di fronte a queste opere è di cercare di ricostruire concatenazioni e sequenze di cilindretti, ora seguendo le corrispondenze cromatiche, ora invece le luminosità corrispondenti, in un continuo intrecciasi di costellazioni possibili.”

Ma è con i cicli dei “Pseudorilievi” e dei”Reflex” e “Luci riflex”, che il Maestro veneziano riesce a dimostrare tutta la propria vena creativa, ed un intima, biologica consonanza con il firmamento dello spazio luce. I “Pseudorilievi”sono, con le parole di Dino Marangon,”…costituiti dall’inserimento a perpendicolo lungo linee parallele equidistanti, su un supporto uniformante rigettato, di lamine specchianti di differente forma e misura che riflettendo e distorcendo l’immagine e della superficie circostante, vanno creando significati volumi virtuali che, suscitando sensibili, ancorché illusorie vibrazioni spaziali e luminose,  provocano effetti di rilevante modulazione ritmica.”

 Ma questa è la puntuale e calibratissima spiegazione di cosa siano, di come effettivamente siano strutturati i “Pseudorilievi”. Quello che ancora non dice è come essi riescano a magicamente condurre lo sguardo catturato dello spettatore verso mille tangenti luminose, a dilatare lo spazio dell’opera in termini di il limite, a creare un sovrapporsi di piani reali e illusori che si confrontano con una sola, eppure indefinibile, campitura, ad evocare infine una misteriosa superficie lunare, infinitamente lontana e gioiosamente tangibile al tempo stesso. Nei “Pseudorilievi” Costalonga è davvero riuscito a rappresentare, forse perfino oltre, al di là delle sue prime intenzioni, la stupefacente bellezza di una nebbia luminosa, di una visione intellettuale e reale al tempo stesso, regalandoci la dimensione dell’infinito, di un infinito concreto.

E con i “Reflex”, questa suggestione sembra continuare; anzi avanzare verso i territori dell’ombra luminosa, della luce che scaturisce inopinatamente dal mistero del buio, ma che non è frutto del l’accidente e della casualità, bensì di una logica sapientemente organizzata, programmata e condotta con sensibilità e fiuto luministico all’incontro con una nuova categoria dell’arte: una sorta di neo-barocco in chiave tecnicistica-elettrica-psichedelica. I “Reflex” sono “…caratterizzati dall’inserimento su ampli velari di tessuto non tessuto in friselina, di innumerevoli, sporgenti lamelle irregolari in PVC…” “metallizzato, “…le cui superfici riflettenti, ad ogni minimo mutamento di luce moltiplicano nell’ambiente circostante un’infinità di lampeggiamenti, brillii, iridescenze multicolori, dando origine a inafferrabili e coinvolgenti atmosfere cromatico-luminose, le cui pulsazioni generano un continuum variabile le cui multiformi sequenze visuali potranno essere…potenziate a seconda della disposizione e della intensità delle fonti luminose colorate che corredano l’opera.” E in queste opere la stessa fantasia dello spettatore sembra naturalmente collegarsi con l’ideazione dell’artista, in un abbraccio sensoriale e creativo, in un’estasi percettiva ed estetica, continuamente stimolata da luminose e fantasmiche forme senza volume. Dunque, quella sorta di gabbia strutturale, organizzata con rigore scientifico, che contraddistingue tutti i lavori di Costalonga, pare, alla fine smarginarsi, sfaldarsi e venir sopraffatta dalla superiore pregnanza della dimensione evocativa e fantastica della luce-colore. A conferma di ciò ecco uno degli ultimi cicli del Maestro, le “Destrutturazioni”, tutto eseguito sul piano, senza l’inserimento di alcun elemento tridimensionale, ma solo con l’ausilio di maschere riflettenti di colore, che permettono la definizione di reticoli strutturanti, di illusorie masse aggettanti, in una suprema finzione di architetture che implodono, vengono squassate e devastate, o comunque cedono la loro consistenza al dominio del vuoto liquefatto, dell’energia incandescente.

Siamo nel campo del più tradizionale pittoricismo, anche se ancora una volta Costalonga non cerca di abbagliarci con il primo effetto visivo, ma, piuttosto, con la più sottile, sublimante, profondità evocativa della visione. Anche in questa occasione lo scienziato ha ceduto il passo all’artista.

 

 

LE STRUTTURE DELLA VISIONE  IN  FRANCO COSTALONGA

Carlo Franza

 

Le ricerche del secondo dopoguerra e in special modo quelle degli anni Sessanta e Settanta, rientrano in quel modulo cosiddetto della neoavanguardia o di seconda avanguardia, nel senso di coglierne il tramite con lo spirito delle avanguardie storiche.

Mi preme sottolineare per la seconda avanguardia la definizione di avanguardia che muove il collega Giorgio Bareri Squarotti dell’Università di Torino: “Il fenomeno, tipico dell’età contemporanea, del formarsi di gruppi più o meno ristretti e di movimenti che pongono come fondamento della loro azione polemica radicale contro la tradizione e, al tempo stesso, contro la situazione ufficialmente legittimata delle varie arti, in nome di rinnovamento radicale delle strutture, di linguaggi, di tecniche, coinvolgendo nella loro azione eversiva la stessa società intesa come espressione di conformismo e anche come “figura dell’ingiustizia sociale e politica”.

L’esordio in pittura di Franco Costalonga lo mostra  subito interessato a una sottile modulazione cromatica, a una sorta di analisi scientifica del colore, a una distillazione dei toni che creano una vera e propria struttura di visualizzazione ovvero la luce colore.

Nella seconda metà degli anni Settanta, quando ormai era entrato a far parte del gruppo”Dialettiche delle Tendenze” fondato nei primi anni Sessanta a Venezia da Domenico Cara. Franco Costalonga si porta vicino alle esperienze di Bruno Munari collegato al Centro Sincron di Brescia, coordinato da Armando Nizzi.

Del movimento veneziano hanno fatto parte anche Sara Campesan, Perugini, Battilana e altri ancora., tutti sollecitati a stabilire una convergenza tra i progressi scientifici, tecnologici ed estetici, tutti operanti su una dinamizzazione plastica della visione.

Questo gruppo,e altri come il torinese CRAS, il milanese Diorama divenuto poi gruppo T, il gruppo N di Padova, il gruppo Cibernetico V che volle operare per un possibile incontro moltiplicato e non distante dalle premesse operative del più noto dei gruppi tedeschi, quello “O”, e ancora il gruppo del Cenobio a Milano, poi il MID, i “Corpi Plastici”, fino al Gruppo I di Roma, scandiscono a livello nazionale il nuovo, volgono l’arte verso una ricerca oggettiva e concreta ma anche formale e visuale. Tutti, pur non appartenendo propriamente alle cosiddette “equipes cinetiche”, ma sicuramente innervati da motivati interessi a studi, ricerche e applicazioni estetiche, hanno cercato di tradurre visivamente momenti di poetica generale, acquisizioni reciproche di utilizzazione ideografica,giungendo poi a una situazione di criticismo, in perfetta sintonia con il destino delle sperimentazioni.

Hanno inseguito si diceva, compreso Costalonga, lo spazio attivo, il gioco lucidissimo dell’environnement, non offrendo resistenza alle scelte di base e alle futuribilità estetiche compreso il vincolante individualismo dell’artista.

Lavorare, per questi, è servito a movimentare architetture e oggetti industriali. Così ecco le superfici in divenire, i flussi guidati da sabbie e oli, i quadro oggetto, gli itinerari, le programmazioni del multiplo e i rapporti animati, tutto sconfina in questo optimum tecnologico che offre diversi versanti al design. Gruppi, vedremo, che operano a sé stanti, senza interferenze, che gestiscono la poetica a freddo unitamente all’idea del costruire.

Opere che rispondono allo sperimentalismo estetico, un modo in parte nuovo subentrato nell’arte contemporanea, basti pensare ai rotolief di Marcel Ducham del 1936 e ai ready made del 1917, senza dimenticare “le macchine inutili”di Bruno Munari e le idee di Victor Vasarely sulla moltiplicazione e diffusione dell’opera d’arte manuale, meccanica, usurata si può dire per molti aspetti proprio dal dominio delle vecchie interferenze pittoriche.

Nel lavoro di  Costalonga, come in molti suoi contemporanei che attingono alle nuove aree della visione e progettazione, mancano le possibili proposizioni a livello inconscio, vale a dire le emozionali, ovvero la fronda irrazionale che diventa spesso estasi poetica. Esiste invece il fluttuate dinamismo dell’oggetto, come l’ambientazione che elimina ogni sentimentalismo, facendo ritorno al puro, all’essenziale, al controllo degli elementi e dei sussidi che diventano poi linguaggio puro e realtà in movimento.

Sperimentalismi e costruzioni che coincidono con la percettività archetipica, che continuano a quantificare ciò che vuole oggi l’industria e il pubblico esigente alla ricerca – sotto spinte ultra e post consumistiche – di immagini per la vita, la cui serialità spinge a rileggere i territori dell’arte, tutto inteso nell’integrazione ed espressione dei tempi che ci accompagnano.

La storia di Costalonga ci ha dato modo di vedere negli anni forme in materiale plastico in tensione, strutture a doppio elicoide, multipli sincron, oggetti cromacinetici, quadri oggetto su gradienti di luminosità, grafiche programmabili, strutture modulari sui movimenti della simmetria; da tutto ciò s’è avvertito la trama dello spazio attivo, superfici in divenire orchestrate da una poetica a freddo,  e quel che più conta, la sollecitazione di una serie di micro percezioni e nuove dinamiche percettive che utilizzano anche l’incidenza della luce.

Dunque, movimento, effetti grafici, effetti di composizione, di materiali, di volumi e di interazione di colori. Il colore è una delle componenti della struttura oggettuale e percettiva del Costalonga, e persino le strutture composte da tanti pioli cilindrici sfaccettati in diagonale e in diagonale crescenti di luce, carichi di tensione cromatica, per cui anziché impiegare la luce ambientale la emanano di per sè con il colore, sono opere in movimento virtuale che hanno i loro predecessori nelle pratiche illusorie del trompe l’oeil, nelle cosiddette anamorfosi, ovvero deformazione degli oggetti negli specchi, e non ultimo nelle macchine cinetiche che dalla Bauhaus – si veda il “Lichtrequisit” di Moholy Nagy come modulatore di luce – a Schoeffer con la sua “Torre spazio dinamica” costituiscono la prima grande realizzazione cinetica.

L’arte luminocinetica dell’ambiente creata con l’aiuto della luce diretta (Morellet), radente (Le Parc), nera (De Marco), cromatica (Schoeffer, Boto, Vardanega), polarizzata (Stein), sonora (Agam), vive con Costalonga la sua “profondità” e come Sotto un movimento vibratorio che provoca un effetto cangiante.

A osservarle queste opere di Costalonga si qualificano come trasformabili, sfruttano le scoperte della scienza e ai successi della tecnologia, mettendo in evidenza come esse possano essere il frutto di più collaborazioni tra artisti, intellettuali, ingegneri, psicologi e teorici dell’arte.

La retina in chi guarda è come eccitata, vive pulsioni, convulsioni e risposte forti sul piano della confusione ottica, così le strutture di Costalonga utilizzano differenti figure geometriche, la sovrapposizione di trame o  la giustapposizione dei colori, l’irradiazione e la diffusione di colori, la divisione per intensità, i contrasti simultanei, la diminuzione e la crescita di un colore e di un tono, l’interferenza di colori, fino a provocare interazione intensa tra ambiente fisico e psicologico.

Luce, colore e movimento, evolve in Costalonga anche nell’uso del fenomeno cinetico tridimensionale,con il ricorso a oggetti in plexiglas, a specchi, a fili di nylon, a elementi insomma portano lo spazio a evolversi verso una cosmologia in cui tutto svela le relazioni all’interno del mondo.

E una filosofia strettamente legata a una sensibilità quasi scientifica che si risolve in opere cosiddette “Tecnologiche” in cui si avverte una luce stroboscopia, portando il problema e l’alfabeto dei colori a soluzioni nuove e raffinate.

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  ed ancora il Museo GUGGENHEIM...
 

La foto di Franco Costalonga è di foto di Giancarlo Gennaro