Giovanna Strada
Una lettura dello spazio nella
pittura
Il lavoro di Giovanna
Strada, coerente e preciso, nel processo di semplificazione delle
forme, ma nello stesso tempo aperto alla varietà delle soluzioni
possibili, nasce da una forte radice strutturale, riconoscibile nel
ricorso alla tradizione delle diverse forme di astrazione geometrica
che dagli anni Dieci-Venti del Novecento si sono avvicendate sulla
scena dell’arte. Più che rinvenire un rapporto diretto con gli
esempi originari di un linguaggio che ha conosciuto e conosce
prospettive più ampie di quanto possa a prima vista apparire, va
individuato però un confronto con modalità compositive aggiornate
sulle esperienze degli anni Sessanta-Settanta, quando la misura e la
forma dello spazio tradotto in pittura si è allargato ad accogliere
l’ambiente e la dimensione delle proiezioni architettoniche nelle
diverse direzioni dello sguardo. Caratterizza il suo procedimento
negli ultimi anni la riduzione dei toni all’opposizione binaria del
bianco e del nero, estremi di una gamma che avvolge e coinvolge lo
spazio. Come nel linguaggio informatico, che scaturisce dalla
combinazione binaria per aprirsi all’universale, così le polarità
del bianco e nero, e la definizione del modulo del quadrato,
destinato ad allargarsi a rettangolo e quindi ad assumere una
mobilità infinita, sono gli elementi base di un modo di inventare
forme per appropriarsi dello spazio che alla superficie pittorica
scorre accanto e, in qualche caso, fin dentro i suoi limiti. Le sue
composizioni, che definisce come “scansioni”, “strutture” e,
soprattutto, “interazioni”, si svolgono sulle pareti come percorsi
orizzontali e verticali che non sono mai forme chiuse, ma sempre
aperte, con pause e ritmi che non sono mai ripetitivi. Per questo
lei stessa accenna alla possibile analogia musicale, come si può
riconoscere ogni qualvolta un lavoro plastico, strutturandosi su
regole compositive date, trascorre visibilmente dalla spazialità
alla temporalità nell’introdurre variazioni combinatorie che trovano
in una matematica interna e intuitiva la sua ragion d’essere. Più
propriamente, forse, data la forte componente spaziale e
architettonica, può valere il ricorso a un’altra analogia
linguistica, vale a dire quella con tutte quelle formulazioni
insieme costruttive e decostruttive, strutturali e destrutturanti,
sulle quali si fonda un linguaggio modernista non limitato ad una
attitudine definitoria e assertiva. Muovendosi sulla parete,
proponendo equilibri e squilibri, andando a sondare verticalità e
profondità, ma soprattutto suggerendo movimenti e scarti improvvisi,
le sue opere sono negazione di un astratto rigore, riconducendo a
un dialogo fra caso e necessità che costituisce la prospettiva di
maggior validità, ancor oggi, per una elaborazione pittorica che si
fondi sulle regole essenziali del vocabolario geometrico nella sua
enunciazione e nelle sue derivazioni. Giova soprattutto, nel
cogliere la direzione possibile del suo lavoro, l’ampliamento delle
dimensioni dello spazio coinvolto e delle combinazioni interne
dell’immagine, nel momento in cui, in una costruzione apparentemente
priva di delimitazioni, le diverse porzioni di bianco e nero si
moltiplicano come parti di una serie tendente all’infinito.