ALFONSO LENTINI

Piccolo inventario degli specchi

Ed. Stampa alternativa, Viterbo 2003, pp.138, E. 9,00

 

C’è una sorta d’insaziabilità monotematica in questo Piccolo inventario degli specchi, come del resto in ogni saggio del genere, la cui gamma morfologica va dall’imponente e minuzioso Libro dei labirinti, di Paolo Santarcangeli, al soavemente maniacale Seni, di Ramon Gomez De la Serna. Sempre di Alfonso Lentini si sono apprezzate poesie strane e delicate, di una bellezza distillata, e opere d’arte oggettuali, declinanti la realtà in una dimensione fantasiosa e monacale. Ed ecco in questo libro esiguo eppur labirintico, coniugandosi l’opera verbale con quella artistica, il tema dello specchio si fa parola e si fa immagine; così, i quadri riprodotti non fungono qui da semplice supporto iconico, come nei libri di storia dell’arte, ma attuano l’esposizione concettuale. E via via, leggendo, si scopre che un po’ tutto il mondo, culturale o naturale che sia, ha valenza speculare, tanto che la lastra di vetro appesa nel nostro bagno, nella quale ci vediamo come non siamo perché perfettamente invertiti, non è che una indigente mise en abîme dell’universo quotidiano.

Così come agisce con la sua arte oggettuale, Lentini ci fa scoprire che, oltre agli specchi visivi (normali, anamorfici, a occhio di pesce, concavi, astronomici, ecc.) esistono quelli sonori, quali l’effetto d’eco in natura o in musica il canone inverso. Perfetto emblema della questione, il mito di Eco e di Narciso collega la duplicazione visiva a quella sonora, in un àmbito di generale vanità. Agli specchi concettuali appartiene - oltre a modalità linguistiche quali la scolastica parafrasi, la dizionaresca perifrasi, la narcisistica tautologia, il diabolico palindromo – la seducente figura retorica detta chiasmo, di struttura ABBA. Lentini ne riporta uno, specularmente semantico, di Pirandello: “Viva la macchina che meccanizza la vita!” Ma ogni parola comune è, di per sé, un frammentino di specchio sonoro e mentale del mondo che esperiamo…

La tecnica artistica, dalla pittura alla fotografia al cinematografo, ha sempre più affinato le sue capacità imitative; e se nella pittura, dalla caverna paleolitica alla tela picassiana, quasi sempre la tensione espressiva ha soverchiato la mera riproduzione della realtà, la fotografia ha introdotto la mimesi meccanica delle cose, con la pretesa galileiana del “come appare così è”. Ma l’invenzione di Wedgwood e poi di Daguerre non allarga, bensì stringe ancora di più la morsa dell’illusione, che ci induce a pensare: “tu sei solo ciò che appari”. E dico illusione non solamente sul piano filosofico, ma già su quello fenomenico. Tutti, per esempio, avranno provato una delusione inspiegabile dopo aver fotografato un glorioso tramonto marino: che stampato sulla carta lucida si riduce a un miserabile punto sanguigno. Si tratta di questo: il mondo apparente, che in séguito all’impulso retinico ricevuto riproiettiamo all’esterno in una cerebrale ricostruzione dello spazio, non corrisponde al reale, di questo essendo quello più contratto e ravvicinato. Inoltre le onde elettromagnetiche della pur velocissima luce ci consegnano una immagine che è già passato, e che vediamo di fronte a noi non in quanto è ma in quanto riproduzione cerebrale. Noi dunque non possiamo vedere il presente così com’è: vediamo, letteralmente, un nostro fantasma mentale del passato.

Tutto, in fondo, è uno specchio prevaricatore, a iniziare dalla pupilla, che ci mostra le stelle illusoriamente irradianti, e che è così chiamata perché, se la osserviamo nel nostro interlocutore o magari allo specchio, ci vediamo in essa ridotti a una microscopica bambolina, in latino pupilla. Esisterà mai uno specchio totalmente veritiero? La scienza si afferma tale, ma è anch’essa solo un frammento della realtà, di cui riflette una porzione, quella materiale, che essa pretende la totalità dell’essere. Dante, negli ultimi versi del Paradiso, conficcando lo sguardo nello Specchio Assoluto vi riconosce la “nostra effige”.

Come due specchi contrapposti si moltiplicano in una vertiginosa fuga prospettica, così questi 60 paragrafi, rinviando la loro indagine dall’uno all’altro, allargano la nostra mente facendoci riflettere sulle innumerevoli possibilità che natura e cultura ci offrono per ogni singolo dato o atto. Possibilità che dividerei in due categorie generali: una, di specie naturalistica e razionalistica, e cioè analitica, per cui l’intelletto, declinando sistematicamente il mondo, non può uscire, di spiegazione in spiegazione, dal labirinto tautologico della sua dimensione transeunte; l’altra, di specie simbolica (filosofica, religiosa, poetica, artistica), e cioè sintetica, che apre alla mente una soluzione metafisica, la sola datrice di senso. Lo specchio razionalistico e quello simbolico, contrapposti da secoli, procurano una vertigine interminabile.

Sidonio Apollinare, citato da Lentini, scrive: “la mente si riflette in un libro come il volto in uno specchio”. Spècchiati dunque, lettore, in questo libretto, aureo per ironica leggerezza di scrittura e per anarchica profondità intellettuale: ci riconoscerai un poco di te stesso.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Marco Cipollini

                                                                                                                                      

  Pag. 2

“CONCRESCENZE SPECULARI

Motra in corso di realizzazione 

 

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