ALFONSO LENTINI

Ed. Stampa alternativa, Viterbo 2003, pp.138, E. 9,00

 

Dal Piccolo inventario degli specchi :    di Alfonso Lentini

 

Lo specchietto retrovisore

(pagg. 37-38)

 

Che siamo esseri doppi o esseri dimezzati, la dimensione dello specchio ci riguarda comunque. Viviamo in un universo di specchi.

Abbiamo due occhi, uno di qua e uno di là, ognuno sembra la specchiatura, il gemello dell'altro, eppure il campo visivo che i due occhi ci consentono di esplorare, è perfettamente dimezzato. La nostra vista non ci permette mai di percepire "in diretta" cosa c'è alle nostre spalle. Anche se ci giriamo di scatto, già nel momento in cui compiamo quel gesto, abbiamo perso la visione dello spazio opposto. Solo Argo, con la sua doppia vista era capace di tanto. Noi uomini comuni, noi esseri dimezzati o doppi, in ogni caso attraversati da uno specchio, dobbiamo rassegnarci a questo vuoto inquietante dietro la nuca, a questa percezione continua di un'assenza.

Siamo condannati a portare per l'eternità una specie di fardello, un peso dietro le spalle, l'alito minaccioso della Mancanza. Così, a nostra totale insaputa, potremmo avere alle nostre spalle quello strano animale, non l'orco delle fiabe o il Babau dei nostri bisnonni, ma il terribile Hidelbehind, di cui parla Borges riferendo di una scherzosa mitologia diffusa tra i boscaioli del Wisconsin: l'Hidelbehind, che sta sempre dietro la nostra nuca. Per quanti giri un uomo faccia, quello gli sta sempre alle spalle e per questo nessuno l'ha visto mai.

Invece di arrabbattarsi tanto per elaborare complicatissime teorie sul Vuoto, i filosofi dovrebbero allenarsi un po' di più nell'arte del girarsi di scatto.

 

L'uomo ha sempre sentito il bisogno di un occhio dietro la nuca.

Solo lo specchietto retrovisore, che è un'invenzione tipicamente novecentesca, rappresenta un timido tentativo di imitare Argo, il dio dal capo circondato da mille occhi. Un tentativo di aggirare il problema. E ancora una volta entra in campo un gioco di riflessi. Certo, anche in passato guardando in uno specchio era facile percepire lo spazio alle nostre spalle, solo che prima, prima delle automobili e del gran colpo di acceleratore che tutto il mondo da allora ha subito, prima… quando si guardava dentro a uno specchio, il punto in cui era focalizzato lo sguardo era la propria immagine riflessa, tutto il resto era elemento accessorio. Con lo specchietto retrovisore invece non guardi per vedere te stesso, ma soltanto per vedere cosa c'è alle tue spalle e nello stesso tempo, guidando, guardi davanti a te. La tua immagine - sia quella reale che quella riflessa - scompare.

Lo specchietto retrovisore è insomma un'imitazione, per quanto debole e imperfetta, del campo visivo totale. Ecco il salto, ecco la differenza sostanziale, quasi una mutazione genetica…

 

 

Specchi congelanti

(pagg. 74-76)

 

Da bambino, ingordo di sogni com'ero, facevo alle volte un gioco forse stupido, ma di sicuro crudele, perché mi metteva ogni volta di fronte a una fatale sconfitta (…eppure forse era proprio quella segreta crudeltà, la coscienza della sicura sconfitta alla quale però osavo dare instancabilmente battaglia, ad affascinarmi).

Mi procuravo di nascosto uno specchietto portatile, tipo quelli da trucco, delle donne. Di nascosto, perché ero talmente piccolo che non mi era permesso maneggiare specchi. Me ne procuravo comunque uno e vi ponevo davanti, a riflettersi, un oggetto qualsiasi da me amato, mettiamo un aeroplanino costruito con il Lego. Ve lo ponevo davanti a lungo, come se dovessi lasciare allo specchio tutto il tempo (ma ci voleva un tempo… infinito?) per assorbire l'immagine, alla stessa maniera di quando ci si sdraia al sole lasciando che il corpo si abbronzi… Finché, quando mi sembrava giunto il momento giusto, con gesto velocissimo da gatto, mi avventavo sullo specchio, coprendolo con la mano e subito dopo lo avvolgevo in un panno scuro. Ricordo che a volte per maggior sicurezza impacchettavo l'involucro con dello spago e lo lasciavo lì a riposare, come le massaie lasciavano a lievitare sotto le coperte la pasta del pane. Una speranza esilissima, che col ripetersi dell'esperimento si assottigliava sempre di più, mi accompagnava più tardi nel compimento dell'operazione: la speranza di sollevare il panno e sbirciare così velocemente dentro l'involucro da riuscire a percepire almeno un'ombra (una coda di lucertola in fuga) dell'oggetto amato che prima avevo posto davanti allo specchio…

Se insomma per assurdo inviassi per posta a un'altra persona lo specchio nel quale mi sono lungamente specchiato, pur avendolo sigillato e impacchettato ermeticamente, mai il destinatario del pacco vi troverebbe traccia del mio viso. Vedrebbe semmai il suo, in una smorfia di scettica perplessità.

Dobbiamo dunque concludere con freddo rigore scientifico che non esistono specchi in grado di trattenere le immagini?

 

Solidificare un raggio di luna, come tentavano di fare nel Cinquecento a Praga gli alchimisti al servizio di Rodolfo II, congelare la radiazione luminosa e scongelarla a piacimento: ma siamo davvero sicuri che non sia possibile?

 

Quando Thomas Wedgwood, nell'anno 1802, studiando l'annerimento del nitrato d'argento esposto alla luce, riuscì per la prima volta a produrre immagini di oggetti opachi su carta sensibilizzata con sali d'argento, seguito nel 1837 da Daguerre (che, lavorando per conto suo, era intanto riuscito ad ottenere immagini migliori e più stabili, sensibilizzando una lastra di rame argentato ai vapori di iodio), stava dando vita - forse senza rendersene conto - a un incubo antichissimo, al primo specchio davvero prensile, capace di risucchiare al suo interno le immagini e mantenerle lì, carcerate, in attesa: la fotografia…

Con la fotografia diventa possibile catturare e dunque far viaggiare le immagini riflesse: incartarle e spedirle in ogni parte del mondo, farle viaggiare nel flusso incessante dello spazio e del tempo.

Il mio sogno infantile, impacchettare e spedire uno specchio con dentro ciò che ha "visto", diventa realtà. Passato e futuro, lontano e vicino - grazie a questo esile ponte - rimangono connessi. E si specchiano.

 

 

La fotocopiatrice e gli atlanti

Pagg. 93-96

 

Specchi in grado di catturare l’immagine e di cristallizzarla sono, a maggior ragione, le stampe a contatto. Non ci sono spazi o passaggi intermedi. Appoggi il palmo della mano sulla pancia piatta e fredda della fotocopiatrice, scatta un lampo, una bolla di luce fa una breve passeggiata sotto la tua mano, e subito dopo la stessa immagine che si sarebbe riflessa in uno specchio (se lì sotto ci fosse stato un semplice specchio) viene sfornata su un foglio A4, perfetta e immobilizzata.

Una specie di stampa a contatto del cosmo è ciò che si propongono, nei loro sogni più mostruosi, i cartografi. Le mappe, gli atlanti, gli stessi mappamondi, sono specchi anche loro.

Borges parla di certi cartografi che, intenti a rendere sempre più perfetta la mappa dell’Impero, giungono a riprodurre ogni più piccolo particolare del territorio, sino al punto da realizzare una carta in scala 1/1 e sovrapporla all’Impero stesso, sospesa a pochi metri dal suolo come un’immensa tettoia.

 

(Una mappa inquietante, scovata da Ramon Gomez de la Serna: se “un secondo è un secolo in miniatura”, allora "sulla carta vetrata c’è la mappa del deserto").

 

Del resto, tutto quello che di invisibile attraversa l'atmosfera, gli impalpabili rimbalzi, le incorporee saette che sorvolano il pianeta soffocandolo di messaggi, immagini, suoni virtuali (eh, che glassa mostruosa in fantasmatica dissolvenza: facciazze rubizze del potere, starnazzi di fondamentalisti neoberlusconiani, barriti iperliberisti, luccicose ballerine, danze di detersivi seni sederi franchising & partnership, bip, canti liturgici, tigri di polistirolo, rasaerba nevrotici, bit, crocifissi di cioccolato, eiaculazioni, xuyhtwkkk, esplosioni dati di borsa risate, hip, bip, hot, uiwenufhmxdehf, collisioni di aerei su grattacieli, sedute spiritiche, vtyuhwwz, sirene d'ambulanza, preghiere di papi e pianti strazianti di bimbi…), insomma ciò che viaggia attraverso il web, le antenne televisive, i cellulari, le onde radio, i flussi di comunicazione che si incrociano e si ingarbugliano avvolgendo a gomitolo la Terra: questo immenso gorgo non è altro che un calco gigantesco, specchiatura virtuale di tutto quanto avviene e si intasa sul globo. In scala perfetta, però, come la mappa di Borges: uno a uno.                                                                                                                                              GIUBBE ROSSE...

       

“CONCRESCENZE SPECULARI

Motra in corso di realizzazione 

                                                                                                                     

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