PAOLA ZORZI presenta

presso il "BAR SACCHI" di Torino

1° maggio a torino  - mini-mostra fotografica di paola zorzi

"WELCOME TORINO 2006"

un po' per uno non fa male a nessuno:

il lavoro

 

l'attuale trasferimento in zone di nuovo sviluppo o in via di sviluppo di interi segmenti di produzione industriale  è ancora improntato essenzialmente ad un modello economico paleoindustriale  in cui l'accumulazione primaria di capitale necessario ad uno sviluppo ulteriore non solo era uno dei tanti aspetti della produzione, in qualche modo indispensabile, ma era ancora, prima di tutto, funzionale al profitto.

se però le economie avanzate, anche attraverso questo sistema, hanno saputo accumulare enormi risorse tecnologiche e materiali, questo è avvenuto in un contesto e con dinamiche oggi  oggetto di discussione da parte di quegli stessi paesi.  per le stesse ragioni anche l'esportazione di quel modello solleva sempre più riserve.

l'industrializzazione infatti nella sua prima fase si è imposta in modo del tutto irrazionale e caotico.

il principio naturalistico della competizione e selezione naturale erano trasferite ipso facto dall'ambito della natura a quello della società senza ulteriori riflessioni.

il concetto di selezione  venne desunto a partire dalla teoria dell'evoluzione (biologica) senza tener conto del preciso momento evolutivo a cui l'umanità tutta intera  era ormai pervenuta senza esclusione alcuna riferibile a nazionalità, razza, sesso, classe sociale .

sovente la scala temporale propria dell'evoluzione, in realtà costituita da tempi lunghissimi, veniva applicata a fatti del presente con contrazioni temporali del tutto inaccettabili.

la competizione extraspecifica era  applicata in ambito infraspecifico senza alcuna mediazione. tutto questo legittimava poi la divisione del lavoro e la sua considerazione in termini di valore con la conseguente divisione in classi della società improntata ad un modello gerarchico con ruoli inalterabili ed estremamente definiti.

un tipo di selezione che garantiva privilegi attenuati solo  dalla morale religiosa.  una specie di selezione in cui il modello tardoromantico individualistico aveva ideologicamente il sopravvento su qualsiasi altro modo di affrontare i problemi.

un ampio progresso dunque che  in realtà si è realizzato  trasversalmente attraverso la capacità produttiva che quel modello sociale ed economico aveva implementato.

con risultati comunque da non sottovalutare da attribuirsi alla rivoluzione  borghese, industriale e alle conseguenti rivendicazioni di ogni tipo che  hanno  consentito alle classi più sfruttate di aprirsi spazi di attività e nuovi  diritti fino ad allora inediti  aggirando così le peggiori forme di avvilimento a cui in passato la maggior parte della società era "condannata".

tutto questo però ha comportato costi altissimi, un attivismo lavorativo fino a quel momento mai

sperimentato, un'iperspecializzazione e razionalizzazione del lavoro al limite della  patologia che coinvolgeva tutti,  sia il lavoro intellettuale e amministrativo (deformazione professionale) che il lavoro di fabbrica (stress da catena di montaggio etc…).

ma quel che più rappresenta la problematicità di questo modello è l'alienazione, una specie di schizofrenia che non è esattamente e solo astrazione o mediazione per cui può avvenire che si faccia una cosa per pervenire coerentemente ad un'altra dimostrando un notevole grado di intelligenza.   è piuttosto il pensiero prodotto dalla miseria e povertà di un tempo ( del passato) che costringeva le persone alla mera  lotta per la sopravvivenza quotidiana  che ancora aleggia tra  le pieghe delle strutture sociali, politiche, nei rapporti tra  persone condizionandole.

e mentre in occidente per molti, non per tutti,  lo standard di vita è notevolmente migliorato ancora l'anima di questo modello si riflette in una mentalità non del tutto superata.

 

l'attuale crisi occupazionale in europa e in molte parti dell'occidente rientra nell'orbita di questo tipo di pensiero.

non si tratta cioè solo di un momento , di una fase economica fisiologica, di transizione  così come non si tratta soltanto di un problema legato alla produzione di merci in paesi di nuovo sviluppo.

se dovessimo infatti analizzare la situazione più dettagliatamente sarebbe possibile riscontrare che  da un lato l'attuale processo di mondializzazione  avviene col proposito sincero di elevare lo standard di vita ed esportare esperienze e conoscenze in paesi che spesso le accolgono volentieri (visti i molti problemi irrisolti con cui devono misurarsi costantemente).   mentre  dall'altro persiste la cultura economica (di chi/) che pensa  il "progresso"  attuato solo in quanto sottoprodotto inevitabile, dunque giustificante,  la logica del profitto.   una vera e propria filosofia apparentemente positivistica in realtà con una radice profondamente pessimistica che vede nelle difficoltà e complessità della realtà la legittimazione ad un rapporto con questa del tutto incoerente e se necessario violento.

senza per questo voler essere ortodossi e farsi troppe illusioni sul concetto di coerenza e univocità è anche vero che esistono limiti oltre i quali  un pensiero può essere accusato di  malafede o rivelarsi poi (se non nelle intenzioni, nei fatti)  improntato allo sfruttamento.  proprio questo modo di pensare ha  prodotto continuamente una situazione sociale instabile tale da costringere molte persone a scelte di ristretti orizzonti ancora e sempre legate all'emergenza della sopravvivenza.  nuove forme di povertà di ogni genere interne a società apparentemente (e in realtà per certi aspetti) ricche si riproducono in continuazione.

questa situazione di costante lotta per una sopravvivenza non ancora assicurata in forma emancipata è ciò che spinge o costringe molte persone del cosiddetto  "ricco" occidente da un lato  a sfruttare manodopera a buon mercato, dall'altro a subirne le conseguenze in termini di disoccupazione.

ma il problema di fondo che si tende a sottovalutare non si esaurisce con queste considerazioni.

è contestabile l'idea che il mondo possa dividersi tra chi amministra e chi produce in modo così netto e univoco confermando una  gerarchia di valori che vede la "mera" produzione materiale spostarsi in paesi di nuovo sviluppo e la sua progettazione,  amministrazione, commercializzazione  attuarsi a partire dai paesi di più antica industrializzazione.  una scissione così fondamentale dei vari momenti non penso che a lungo andare possa dare buoni risultati.  le maggiori acquisizioni in ogni campo hanno sempre necessitato di un rapporto e reciproco apporto tra momento progettuale e la sua realizzazione materiale che da sempre si sono confrontati e  alimentati a vicenda.  inoltre tutto ciò che si è affermato ed è incontestabilmente apprezzato come simbolo di avanzamento, in qualsiasi campo, non è mai stato estraneo alle necessità della società e degli individui che la compongono.   principio questo che sovente abbiamo visto essere messo a dura prova.

in realtà una produzione avvenuta sempre in contesto alienato, gerarchico,  stressato e sovente povero hanno prodotto un giudizio negativo, un disvalore  rispetto al valore potenziale che  quelle stesse attività avrebbero potuto acquisire  se svolte  in altro modo.

siamo sicuri che ciò che viene prospettato da molti economisti come un effetto collaterale inevitabile con cui dovremmo fare i conti per progredire non sia nella migliore delle ipotesi,  se non mero sfruttamento,  un errore di prospettiva o il persistere del condizionamento di un pensiero prodotto da un contesto storico  ormai sorpassato?

senza quasi rendercene conto il progresso ha sempre fatto sì che la società gradualmente si spogliasse di molti privilegi un tempo reputati qualificanti  di cui poi  addirittura è arrivata al punto di vergognarsene .  tutto questo è avvenuto  in un continuo processo di ridefinizione politica,  di ruoli, attività lavorative e valori.   la conquista di nuova dignità e diritti ha sempre ripagato di gran lunga tutto ciò che andava perdendosi sotto forma di privilegio sprigionando  entusiasmo, soddisfazione  e le nuove energie necessarie ad assicurare  una concreta produzione di beni materiali, 

ma i tempi lunghi attraverso cui il pensiero politico e sociale si sviluppano non sempre  sono sincroni con quelli della società, delle sue necessità e delle potenzialità a cui il presente si apre.

il rischio è che il colpo di coda di un sistema i cui retaggi   aristocratici non sono mai stati del tutto superati portino ancora  con sé il germe di una  decadenza (nel senso di oscurantismo)  già a suo tempo sperimentata.

l'attuale crisi occupazionale in europa e in molte parti dell'occidente rientra nell'orbita di questo tipo di pensiero.

non si tratta cioè solo di un momento , di una fase economica fisiologica, di transizione  così come non si tratta soltanto di un problema legato alla produzione di merci in paesi di nuovo sviluppo.

se dovessimo infatti analizzare la situazione più dettagliatamente sarebbe possibile riscontrare che  da un lato l'attuale processo di mondializzazione  avviene col proposito sincero di elevare lo standard di vita ed esportare esperienze e conoscenze in paesi che spesso le accolgono volentieri (visti i molti problemi irrisolti con cui devono misurarsi costantemente).   mentre  dall'altro persiste la cultura economica (di chi/) che pensa  il "progresso"  attuato solo in quanto sottoprodotto inevitabile, dunque giustificante,  la logica del profitto.   una vera e propria filosofia apparentemente positivistica in realtà con una radice profondamente pessimistica che vede nelle difficoltà e complessità della realtà la legittimazione ad un rapporto con questa del tutto incoerente e se necessario violento.

senza per questo voler essere ortodossi e farsi troppe illusioni sul concetto di coerenza e univocità è anche vero che esistono limiti oltre i quali  un pensiero può essere accusato di  malafede o rivelarsi poi (se non nelle intenzioni, nei fatti)  improntato allo sfruttamento.  proprio questo modo di pensare ha  prodotto continuamente una situazione sociale instabile tale da costringere molte persone a scelte di ristretti orizzonti ancora e sempre legate all'emergenza della sopravvivenza.  nuove forme di povertà di ogni genere interne a società apparentemente (e in realtà per certi aspetti) ricche si riproducono in continuazione.

questa situazione di costante lotta per una sopravvivenza non ancora assicurata in forma emancipata è ciò che spinge o costringe molte persone del cosiddetto  "ricco" occidente da un lato  a sfruttare manodopera a buon mercato, dall'altro a subirne le conseguenze in termini di disoccupazione.

ma il problema di fondo che si tende a sottovalutare non si esaurisce con queste considerazioni.

è contestabile l'idea che il mondo possa dividersi tra chi amministra e chi produce in modo così netto e univoco confermando una  gerarchia di valori che vede la "mera" produzione materiale spostarsi in paesi di nuovo sviluppo e la sua progettazione,  amministrazione, commercializzazione  attuarsi a partire dai paesi di più antica industrializzazione.  una scissione così fondamentale dei vari momenti non penso che a lungo andare possa dare buoni risultati.  le maggiori acquisizioni in ogni campo hanno sempre necessitato di un rapporto e reciproco apporto tra momento progettuale e la sua realizzazione materiale che da sempre si sono confrontati e  alimentati a vicenda.  inoltre tutto ciò che si è affermato ed è incontestabilmente apprezzato come simbolo di avanzamento, in qualsiasi campo, non è mai stato estraneo alle necessità della società e degli individui che la compongono.   principio questo che sovente abbiamo visto essere messo a dura prova.

in realtà una produzione avvenuta sempre in contesto alienato, gerarchico,  stressato e sovente povero hanno prodotto un giudizio negativo, un disvalore  rispetto al valore potenziale che  quelle stesse attività avrebbero potuto aaquisire  se svolte  in altro modo.

siamo sicuri che ciò che viene prospettato da molti economisti come un effetto collaterale inevitabile con cui dovremmo fare i conti per progredire non sia nella migliore delle ipotesi,  se non mero sfruttamento,  un errore di prospettiva o il persistere del condizionamento di un pensiero prodotto da un contesto storico  ormai sorpassato?

senza quasi rendercene conto il progresso ha sempre fatto sì che la società gradualmente si spogliasse di molti privilegi un tempo reputati qualificanti  di cui poi  addirittura è arrivata al punto di vergognarsene .  tutto questo è avvenuto  in un continuo processo di ridefinizione politica,  di ruoli, attività lavorative e valori.   la conquista di nuova dignità e diritti ha sempre ripagato di gran lunga tutto ciò che andava perdendosi sotto forma di privilegio sprigionando  entusiasmo, soddisfazione  e le nuove energie necessarie ad assicurare  una concreta produzione di beni materiali, 

ma i tempi lunghi attraverso cui il pensiero politico e sociale si sviluppano non sempre  sono sincroni con quelli della società, delle sue necessità e delle potenzialità a cui il presente si apre.

il rischio è che il colpo di coda di un sistema i cui retaggi   aristocratici non sono mai stati del tutto superati portino ancora  con sé il germe di una  decadenza (nel senso di oscurantismo)  già a suo tempo sperimentata.
 

paola zorzi

biella-pralungo maggio-luglio 2006

 

continua …

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