Diario 13. the
slowly project i problemi del visto e la partenza
Questa è l?ultima settimana che sono a New York. Il mio aereo è
il 9 maggio
e non lo posso spostare, ma questo potrebbe essere un ostacolo
superabile,
il problema è il visto. Senza un visto speciale si può stare
negli stati
uniti solo tre mesi, e i miei mesi scadono il 15 maggio. Sono un
po? triste,
perché solo pochi giorni fa ho saputo che la serata in programma
a Roma per
il 20 di maggio con un intervento mio e dei Zimmerfrei è saltata
per improvvisi
motivi logistici, e così non ho più una ragione oggettiva per
partire. I
lavori che ho in corso (aggiornare il sito, soprattutto mettere
a posto i
video, che Mitchell mi ha insegnato come fare a tradurre i video
in un buon
formato per internet, e montare i vari video nuovi) li posso
fare ovunque,
e qui sto benissimo. Vorrei informarmi se posso prolungare il
visto, ma ho
così tante cose da fare, dato che dovrò partire presto, ed è
così complicato
avere informazioni, che non ho il tempo per occuparmene, e forse
rimuovo
il problema?avrei dovuto occuparmene prima, ma ho saputo solo
all?ultimo
che non dovevo tornare in Italia per la perfo di Roma.
Intanto sono successe molte cose. Lunedì scorso sono stata a
Brooklyn a vedere
le gallerie che Amanda mi ha suggerito, alcune mi sono piaciute,
altre poco.
Ho preso alcuni contatti. Poi sono andata da Mitchell per
cercare di risolvere
il problema di una buona risoluzione dei miei video su internet
per il mio
sito, ma non siamo riusciti a trasferire le nuove codifiche nel
mio computer
perché devo aggiornare il programma con cui faccio il sito, così
ho imparato
come fare e quando sono in italia mi procuro l?aggiornamento e
decodificarli
da sola. E? un po? noioso dovermi occupare anche del sito, ma lo
faccio perché
è qualcosa sempre più importante. Specie qua, che sono tutti
sempre connessi,
e mi è capitato spesso di parlare con delle persone che già
conoscevano il
mio lavoro da internet. Come è successo con Roselee Goldberg.
Martedì ero
emozionata, avevo l?appuntamento, fissato da più di un mese, con
Roselee
Goldberg in persona, credo la più esperta teorica di performance
che esista.
Ho letto i sui libri alcuni anni fa, che mi sono piaciuti
tantissimo, e quando
ero in italia prima di partire ho scoperto che lei è la
direttrice di Performa-arts,
un ente in New York che si occupa di promuovere e studiare e
produrre performances.
Gli avevo scritto, e mi aveva risposto il giorno dopo (come vi
dicevo a NY
magari non hanno il tempo per parlare, ma stanno sempre alle
mail e rispondono
sempre! Altro che in italia, dove non ti risponde nessuno,
specie le persone
importanti che non conosci di persona) dicendomi che mi
aspettava a New York.
Poi una volta qua ho fissato l?appuntamento con molto anticipo.
Così martedì
mi aspettava a casa sua, insieme a una giovane curatrice. E
quando sono arrivata
là con mia sorpresa conoscevano il mio sito a memoria e mi
facevano domande
specifiche sui singoli lavori?E? stata una bella soddisfazione.
In realtà,
con la fretta che a volte abbiamo nel nostro inconscio del
desiderio, speravo
di riuscire a programmare un progetto con loro, ma mi hanno
detto che stanno
lavorando a conoscere il lavoro degli artisti performativi, per
preparare
la biennale del 2007, e che desideravano conoscermi, e che il
contatto è
aperto e gli sviluppi saranno nel futuro?Ci vuole sempre la
lentezza, e la
pazienza, e il costante piantare i semi, e l?annaffiarli
giornalmente?
E la lentezza è il mio lavoro in corso? La settimana scorsa
avevo deciso
che dato che ero a New York volevo fare un?altra giornata di
performance
a Manhattan per il progetto della lentezza. Con Mario abbiamo
deciso per
giovedì. Mercoledì sono stata a casa tutto il giorno a preparare
gli aspetti
tecnici della performance: come vestirmi (vestiti simili a
quella fatta a
New York l?anno scorso ma non perfettamente uguali..), dove
andare, portare
i pantaloni bianchi in tintoria, decidere l?itinerario e
mandarlo alla mia
galleria che manderà in giro la mail ( credo che l?abbiate
ricevuta..), insegnare
a Mario come voglio le riprese e che tecnica bisogna usare per
riprendere
senza essere osservati dai passanti, lavorare sulla mia
energia... Ero molto
contenta che Mario mi facesse le riprese, perché è un buon
fotografo, e perché
di solito riesco a lavorare meglio con gli artisti che con i
cameraman professionali.
Tutti e due eravamo curiosi di vedere come sarebbe andata la
performance
e come sarebbero venute le riprese. E così giovedì mattina
sveglia presto
e cominciamo a Wall Street?Tutto il giorno in giro per le
diverse zone che
avevo scelto, io camminando a un rallenty tale che dovevo
conservare una
concentrazione estrema ogni secondo per controllare l?elasticità
del movimento
rallentato (molto faticoso), e Mario scattando veloce da un
punto all?altro
delle strade per riprendere me e le reazioni della gente? E?
stato un successo,
una marea di reazioni, molte davvero strane e divertenti, ho
bloccato il
traffico una miriade di volte attraversando la strada
cominciando col verde
e mettendoci almeno dieci minuti?Gli automobilisti impazzivano,
ma poi tutti
si fermavano increduli, aspettando che, lentamente, passassi,
fra lo stupore
e il visibilio delle persone ai margini delle strade che non
credevano ai
loro occhi, e ridevano a crepapelle? Alla sera abbiamo rivisto
tutte le riprese
(4 ore di materiale) e le riprese sono molto buone, ci sono
particolari fantastici.
Ora ho proprio tutto ciò che mi serve per montare i video, solo
che mi spavento
al pensiero, ho 4-5 ore di materiale della lentezza a Basilea,
una decina
di ore a Milano, e circa 8 ore a New York (compreso quelle
dell?anno scorso).
Non so ancora quanti video verranno fuori, ma credo un complesso
di video
sincronizzati e una serie di videoinstallazioni, ma non so
davvero quanto
ci metterò, visto che mi ci vogliono tre mesi per montare un
video da una
performance sola e con solo alcune ore di materiale?Beh, è
comunque il progetto
della lentezza, e cresce negli anni ( l?ultima tappa del
progetto sarà Tokio.
Voglio fare la performance a rallentatore nelle strade di Tokio.
Milano,
New York e Tokio, mi piace l?idea di comparare queste città. Ma
per andare
a Tokio aspetto uno sponsor?o un produttore? e ci vuole
lentezza..)
Venerdì eravamo entrambi distrutti e così abbiamo deciso di
andare al mare.
Prendiamo la metro blu e arriviamo in circa un?ora a Rockaway
Park, una spiaggia
a sud est di Brooklyn, abbastanza vicino all?aereoporto JFK (si
vedeva un
fitto viavai di aerei molto vicini). Spiaggia enorme, deserta,
finalmente
relax. Io e Mario già cominciamo un po? a intristirci, perché la
mia partenza
è vicina, e un po? la nostra allegria si attenua in una morsa di
nostalgia
e silenzio.
Sabato e Domenica tutto il giorno a Chelsea coi miei galleristi.
Finalmente
le cose migliorano. La galleria sta riprendendo energia, e
Jeffrei e David
stanno meglio. Quando sono in forma sono molto bravi. Anche qui
ci vuole
pazienza, e lentezza. I soldi del video venduto li avrò
all?inizio di giugno,
un po? al mese. Ora ci credo di più. Mi pagheranno quando il
collezionista
gli versa i soldi mensilmente (secondo jeffrei la vendita si era
bloccata
perché il collezionista non aveva il lavoro, ma prima non mi
avevano chiesto
l?originale del video?
Intanto arrivano delle persone che vedono la mostra e poi
vogliono vedere
dei miei video, e david in un attimo vende due copie del mio
Liuba Redux.
Siamo contenti tutti. David si rammarica che era in ospedale
durante la mia
mostra, ma mi ha detto scherzando che la prossima mostra che
farò la vuole
vendere tutta?Mah, vedremo. Comunque sono più rilassata ora, la
situazione
è migliorata, speriamo che david si riprenda del tutto e torni
in galleria
più stabilmente. Abbiamo deciso che lascio in galleria alcune
foto, oltre
ai lavori che ci sono già, e che in seguito loro le faranno
incorniciare
(Jeffrei dice che nel Connecticut ha un falegname di fiducia
bravo e poco
costoso). Così parto con le cose ancora un po? sospese ma
migliorate, ho
lasciato il mio book in galleria con le foto, i progetti dei
miei lavori
e la rassegna stampa. Anche se la loro è una galleria giovane e
ancora non
molto potente, mi fa piacere avere questa connessione, e mi
ritengo fortunata
comunque ad avere una galleria a Chelsea, non è facile avere una
galleria
a New York, e ho conosciuto tantissimi artisti newyorkesi che
non ce l?hanno.
Con loro la logistica non è facile, ci vuole molta pazienza, ma
per ora è
il mio punto di riferimento a New York, anche se ho instaurato
altri contatti
che magari si possono sviluppare. E? buffo, mi avevano preparato
una lista
con tutti i soldi che avevano speso per me, la personale, scope
a londra,
ecc.. dicendomi che credevano nel mio lavoro e che investivano
su di me?(e
io gli ho risposto: e sai quanto costa a me produrre i video,
fare le performance,
venire qui a New York?..siamo pari!...)
Lunedì è il mio ultimo giorno. Alla mattina mi alzo presto e
vado al consolato
italiano per chiedere informazioni sul visto, ma dopo ore di
fila l?unica
cosa che riesco a sapere è che devo chiederlo al consolato
americano in italia
quando torno a Milano. E? una sensazione frustrante non sentirsi
liberi di
decidere i propri spostamenti. Tutti gli stranieri a New York
hanno problemi
col visto. Addirittura alla White Box (un?importante spazio
no-profit a Chelsea)
l?ultima mostra che ho visto era un progetto interessantissimo
di un gruppo
di artisti tedeschi sull?argomento del visto per gli artisti a
New York.
Hanno selezionato una decina di artisti stranieri, tramite una
specie di
concorso, per stare una settimana in galleria alla White Box,
dormendo e
mangiando in galleria e non potendo comunicare tra loro ma solo
col pubblico
che veniva in galleria. Durante quel tempo dovevano produrre un
lavoro, nel
loro spazio di circa 3 metri dove erano confinati e dormivano, e
alla fine
della settimana uno di loro vinceva?un visto per un anno a New
York. Tutto
il progetto era orientato sulla problematica dello stare a new
York degli
artisti e della difficoltà di rimanerci, e della limitazione di
libertà che
si oppone anche concettualmente alla libertà che un?artista
ricerca e deve
avere.
Intanto io devo partire. Lunedì eravamo stranissimi. Non
riuscivamo a ridere.
Un magone di fondo. E? difficile lasciarsi, interrompere questa
vita insieme
a New York, ed io mi sentivo stralunata, come se dovessi vivere
in due vite
parallele, una che mi aspetta in italia, e un?altra qua, ma qual
è la mia?e
cosa vuol dire spostarsi nello spazio? Mi sento sempre triste
quando devo
lasciare un luogo, una serie di tessuti, di relazioni, di
vissuto, e difficile
rituffarsi in un altro? E? il fascino e la melanconia del
viaggiare, è il
fascino e la melanconia della vita, tutto si muove, tutto però
ritorna. Con
Mario facciamo dei progetti, su come e quando rivederci.
Vorremmo che sia
presto. Stiamo pensando anche di tornare insieme a New York in
autunno e
affittarci qualcosa insieme. Intanto però io devo partire. Ci
sembra così
strano. Nel pomeriggio io mi chiudo in un silenzio meditativo e
mi metto
a fare del lavoro al computer, lui pure, le energie sono basse.
Cosa facciamo
stasera che è l?ultima sera, suona male, sembra forzato. Alle 6
decidiamo
di andare al Lincoln center a vedere l?uomo nella bolla di
acqua. Sono venuta
a sapere che questo personaggio (che qui in america è
conosciutissimo e lui
si definisce ?mago? (the magician) sta facendo un?azione dove è
rimasto a
mollo per una settimana in una sfera di vetro davanti al Lincoln
Center.
Questa sera dovrà uscire. Ci sarà la diretta televisiva. La cosa
mi incuriosisce,
in qualche modo ha qualche punto di contatto col mio modo di
lavorare, e
decidiamo di andarlo a vedere, in mezzo a una folla di persone.
Interessante,
tutto però centrato sulla spettacolarità dell?effetto e sul
fatto che lui
vuole stabilire il primato del mondo di apnea prima di uscire
dalla bolla.
Ma noi ci stufiamo prima, doveva uscire alle 8 e alle 9 è ancora
lì in preparativi
e ce ne andiamo via. Dovevamo incontrare Nora e kevin per una
cena di saluto
per la mia partenza. Bello. Tanto affetto. Sono contenta.
Martedì mille cose da fare, miriadi di bagagli, consegnare dei
video, ricevere
i soldi dei Liuba Redux da Jeffrei, che come al solito si
riduce all?ultimo
e me li spedisce con la Western Union, che non so neanche che
cos?è, e devo
correre per New York ad andare a ritirarli ( ma è molto più
facile di quello
che pensavo, li ho ritirati a un supermarket vicino a casa?ogni
volta mi
sorprendo di qualcosa qui a New York), e poi all?aereoporto, tra
le lacrime.
Mario mi accompagna, l?aereo parte alle 10.30 di notte,
mercoledì pomeriggio
sarò a Milano, con mille emozioni dentro il cuore e tanti semi
piantati in
questo viaggio, che è la mia performance, che è la mia vita.
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