"hyperframes"

in merito alla presentazione del libro  "hyperframes"  :
alcune considerazioni di paola zorzi
 

alla presentazione del libro " hyperframes"  un discorso sulla post-appropriazione in arte, al centro sociale polivalente (ex) educatorio della provvidenza di torino, in pieno clima olimpico eravamo in poco più di una decina di persone.  la cosa non mi stupisce, anch'io d'altronde ero venuta  a conoscenza di questo incontro quasi casualmente attraverso un amico in quanto l'anno scorso avevo presentato la mostra "polittico" proprio in questi locali. una ulteriore occasione per constatare la sproporzione di mezzi  e la risposta del pubblico a seconda del "domaine" di riferimento.

tra i relatori  castagnotto, conti della casa editrice "campanotto editore",   gian carlo pagliasso curatore del volume.

 

pagliasso per prima cosa ha introdotto l'argomento  tentando  di spiegare il significato del termine "hyperframes" nella sua traslazione in italiano e lo ha fatto partendo dall'etimologia stessa della parola.    hyper: fuori e frames: cornice.  dunque per estensione, in senso "vagamente" metaforico  fuori dal contesto.  dove, a quel punto,  diventava interessante indagare fino a dove l'estensione della metafora si fosse spinta e fino a che punto fosse stata (o era ancora) in grado di reggere. 

pagliasso quindi  ha continuato  proponendo una sintesi storica dell'arte a partire dal 900 concentrandosi poi in particolare sugli ultimi decenni. quelli che interessano più direttamente l'attività di "collins & milazzo"  e nello specifico "hyperframes". che si era concretizzata attraverso una serie di 6 conferenze tenute alla yale university di new york (da collins e milazzo appunto).

oltre alla teoria questo approccio avrebbe dispiegato e definito un'operatività  e un nuovo modo di fare critica o un' “anti-critica”.    nuove figure  non più definibili con i precedenti  parametri “professionali”, "ibride" si sarebbe detto,    avrebbero interpretato, dunque interagito, con la  nuova generazione di artisti americani degli anni 80 e 90 e nel complesso, al di là del dato generazionale,  avrebbero dato vita ad una nuova realtà artistica.

pagliasso ha quindi proseguito proponendo una sintesi storica che risultava essere in qualche modo un percorso coerente  con le più accreditate  interpretazioni di storici dell'arte quale un giulio carlo argan.  accreditate  in quanto effettivamente, oltre al pregio della sintesi, hanno avuto il merito di restituire (se non l'"assoluto") certamente almeno una sfaccettatura  reale  e una lettura “relativamente oggettiva” dello stato delle cose.

infatti nel fotografare la prassi consolidata che vede l'arte affermarsi là dove c'è egemonia economica si potrebbe obiettare un profilo prettamente pragmatico, una specie di fotografia storica a posteriori escludente tutto  il retroterra problematico inespresso o utopico e le sue potenzialità.  questo mentre sia l'analisi  storica  che il presente tendono a mettere in discussione  una prassi unilaterale o statica (pur non escludendo l'oggettivita in parte irreversibile di ciò che  accade …) e la fenomenologia  scorge il germe del cambiamento in un altrove non così scontato.

in ogni caso pagliasso ha giustamente sottolineato una realtà: lo spostamento graduale dell'asse  dell'arte da parigi a new york a partire dalla seconda metà del secolo scorso.    tendenza contrastata poi negli anni 80 e 90 dal recupero di una forma artistica europea in parte certamente originale in parte più tradizionale.  in cui era ancora rintracciabile una matrice   pittorica e iconografica non priva di una sua carica  espressionista e che forse proprio  per questo  aveva trovato riscontro in un pubblico relativamente esteso anche in america.    una radice culturale però estranea alle avanguardie di riferimento europee da cui la storia dell'arte contemporanea  e anche  americana   si era sviluppata in modo poi del tutto originale e infine autonomo.    il riferimento (delle avanguardie) è a dada e surrealismo  alle avanguardie russe ed europee di matrice costruttivista e maleviciana,  all'astrattismo ed espressionismo da cui l’astrazione lirica, l'arte concettuale, il neo e de-costruttivismo solo per citarne alcuni …

in un nuovo  contesto storico (quello degli anni 80-90) rappresentato nello scenario internazionale e newyokese in particolare, dai neo-espressionisti da un lato e i cosiddetti "teorici dell'immagine" si inserisce "hyperframes".  una  critica della critica,  tra la sentita autoreferenzialità dei primi e ciò che veniva denunciato come la deriva professionale dei secondi.  priva cioè di avanzamenti che non fossero  "tra parentesi" là dove la vera deriva consiste/va invece in una stasi utopico-rivoluzionaria.

la mia personale esperienza, maturata contemporaneamente  in italia negli anni 90, se da un lato mi porta a comprendere  la "prospettiva" teorica  di hyperframes dall'altro tende a sottolineare senza troppa interposizione mimetica  una valenza se non esclusivamente, anche/ancora strutturale.    per spiegarmi meglio senza una rivoluzione anche strutturale,   come quella francese, nonostante ancora carica dei retaggi e "costumi" aristocratici   non si sarebbero mai potute interpretare e sprigionare tutte le potenzialità economiche e culturali contemporanee.   ma una rivoluzione perché non si trasformi in restaurazione deve, anche a fasi alterne, interpretare in pieno e superare i problemi più importanti non ancora risolti in una società.  non basta cioè cambiare, bisogna farlo in meglio e, mentre  i baratri degli arretramenti hanno profondità abissali  questa nuova  sensibilità e  percorso non  sono ne preconfezionati  né segnati in alcun luogo.    si misurano con la storia ma anche con gli ostacoli del presente e dello specifico.

in questo senso è anche vero che l'operatività  che ha contraddistinto  hyperframes  in qualche modo implicava una critica ad un marxismo recepito ormai come ottocentesco, troppo sovente trasformato in dogmatismo.  e, allo stesso tempo, una critica ad una prassi economicistica da cui la produzione e lo spettacolo in particolare risultano estremamente condizionati.

il nuovo terreno su cui si attiva "hyperframes",  precedentemente anticipato dalla rivista "effect" (uscito in 3 numeri di cui il 1° del 1983), si innesta esattamente  tra queste due realtà  risultando efficace al punto da produrre la necessaria contraddizione con il mondo dello spettacolo "consumistico".

il tentativo doveva essere  quello di portare più prassi in uno strisciante dogmatismo concettuale e al contrario mantenere un linguaggio, anche visivo, depurato però dall'unilateralità emotivo-espressionista.    esperienza poi ulteriormente  definita  durante gli anni 90. in una  prospettiva dove  non erano prestabilite o delegate ne gerarchie né responsabilità.    nasceva così un nuovo modo di operare attraverso diverse priorità  oltre che a una”  "produzione" artistica e a   figure “professionali trasversali e  "ibride".

 

ma ritornando al discorso  sull’analisi storica  introdotta da pagliasso questo ha il merito di far emergere un problema e mi da modo di sottolineare come   quella  dialettica di per sé legittima sia  strumentalizzata  oggi (sovente in modo del tutto indipendente dalle intenzioni degli storici)   ad una contrapposizione europa/stati uniti contestabile "in termini" …, anche nel senso dell'uso di parole, (troppo .. sic!) sovente prelevate  dal vocabolario bellico: invasione, supremazia e via dicendo …

mentre…  non credo  che  “artisti" e "operatori culturali” (per usare un termine ormai convenzionale e a suo tempo in uso tra i  gruppi artistici degli anni 60 - che ,almeno in italia, avevano già sollevato molti problemi in questo senso ) sentano questa contrapposizione  se non in forma residuale. cioè come sovrastrutture categoriali rigide da cui ancora  non sempre è possibile liberarsi: mero condizionamento culturale, consenso,  interessi.

certo esistono esperienze e realtà specifiche ma che questo debba concretizzarsi in una contrapposizione continentale tra europa e america nell'era dei problemi globali e della comunicazione non sembrerebbe più essere nelle intenzione degli "attori".  questo vale anche per un'impronta economicistica ovunque molto calcata sovente proprio  perché di fatto squilibrata e/o soggetta a speculazione.    in realtà nel caso delle avanguardie reali, della critica radicale o di movimento il periodo intermedio del loro agire è caratterizzato da un risvolto economico instabile.  solo in seconda istanza questi si trasformano  diventando oggetto di comunicazione e "cultura" (anche con il relativo risvolto economico) oppure di una  speculazione che normalmente ne sottolinea paradossalmente il  fallimento (anche parziale) o la fine  del suo agire diretto nel presente.

ma se  il pensiero è già in qualche modo progetto a cui ci si conforma allora è legittimo prendere le distanze da una prospettiva che denuncia un pensiero non ancora in formazione ma già e ancora conform/ato.

la contestualizzazione nel panorama della storia dell'arte contemporanea ad opera di pagliasso ,sempre durante la presentazione del libro, forse  proprio nel tentativo di uscire da questi schemi  ha infine  lasciato  aperto o meglio in sospeso il discorso tra descrizione e giudizio. la mia interpretazione del tutto personale tende a orientarsi verso un approccio prevalentemente, ma non esclusivamente, analitico.  anche perché la constatazione è altra cosa dalla teoria e dal giudizio.  e d’altra parte  una neutralità, anche responsabile, si presterebbe quasi a giustificazione o sovrapposizione del clima stagnante sia economico che politico attuale.  non solo ma  impersonerebbe quel riformismo o meglio quelle routines riformiste  così apprezzate (anche giustamente) ma che da sole  raramente si dimostrano risolutive.

peccato non poter riportare qualche  stralcio d/e/alle lettere di collins e milazzo o delle conferenze in quanto protette da copyright.  

una fitta proposizione  teorica  non fine a se stessa.  basti per tutti citare i temi di alcune conferenze:

"forme primarie, strutture mediate" (1985/87), "consumo radicale e la nuova povertà" ( 1987), 

una vera sorpresa e una buona ragione per approfondire l’argomento. 

 

paola zorzi

biella pralungo  7 marzo 2006 

volume edito dalla  "campanotto editore" - pasian di prato (UD) – italia  

p.s.  

ultima considerazione:  nella realtà artistica italiana degli anni 90, pur tra mille contraddizioni, del resto presenti ovunque, uno dei fenomeni più interessanti  è stato il concretizzarsi di un'alternativa alla esclusività dello spazio-galleria.  non si tratta/va cioè più di giudicare la prassi di una piuttosto che un'altra galleria  ma di uscire dal monopolio di un sistema che per estensione risultava sottoposto agli stessi meccanismi del sistema economico in atto (cioè capitalista). 

sarà forse per questo che nel leggere il libro oggi a me suona strano e un po'  (datato"!?") il rapporto tra il termine galleria così presente nel libro e l'impianto teorico e  linguaggio utilizzato… certo  c'è sempre stata galleria e galleria e anche le gallerie nel frattempo erano/sono molto  cambiate.

così come a seconda del percorso e del periodo possono risultare del tutto differenti i punti di riferimento.

ma/h/ ("!?")

intanto in italia però  molti di noi, (comprese alcune rare gallerie e spazi artistici)  stanno ancora pagando in qualche modo oltre che per l'affronto fatto ad un sistema, la passività  e l'assuefazione o disaffezione che questo aveva generato tra il pubblico.

un “pubblico”  che non volevamo più considerare   ne come élite né come massa.

 

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