PH7
spazio web a cura di paola zorzi ph7@giosuemarongiu.it
CALENDARIO MOSTRE 2006
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AR / CONTEMPORARY GALLERY
via vespucci 5 milano
tl. 02 4598902
presenta:
FRANCESCO DE MOLFETTA
"Container.1"
beth brideau, francesco de molfetta,
grant miller
a cura di oliver tschirky
dal 13 gennaio 2006 al
13 febbraio 2006
INTERVISTA DI FRANCESO DE
MOLFETTA
L'intervista è
stata realizzata da Alessandro Trabucco per la rivista on line "THAT'S ART"
01 - La tua avventura
artistica inizia, se non erro, con un piccolo lavoro sulla tragedia
dell?11 settembre. Prima un aeroplanino incollato proprio ad una
cartolina che riproduce la foto delle due Torri, poi un omino,
imbianchino, che le cancella dallo skyline newyorchese. Mi viene in
mente la frase di Damien Hirst, il quale dovette poi scusarsi
pubblicamente, nella quale considerava l?attentato un grande evento
estetico.
Tu come hai osato ironizzare su una catastrofe del genere? Sono
comunque morte migliaia di persone?
RISP:
Per
essere precisi, il primissimo lavoro di quella serie fu un
aeroplanino che si schiantava in una tela bianca . Non c’era ancora
nessuna immagine, solo questo bianco interminabile che comunque
riprendeva la sagoma dell’edificio-di fatto era solo una sagoma
anche se l’associazione mentale era palese. All’epoca facevo ancora
lavori diversi, nel senso di opere, ma anche nel senso di
lavori-mestieri(ho fatto svariate esperienze extra-artistiche al
contrario di molti altri colleghi che profumano ancora di lunghe
carriere accademiche),e in quel momento sentivo l’esigenza di
ritornare ad avvicinarmi alla scultura , alle forme tridimensionali,
che avevo accantonato per una serie di lavori più concettuali-
freddissimi; riguardandoli oggi sembrano le opere di uno
svizzero!!!(un giorno magari li rifirmerò sotto lo pseudonimo di
Hans Von Molfetta o qualcosa del genere…!). Fu così che approdai al
primo aeroplanino, indubbiamente scosso da quello che accadeva nel
mondo in quel momento , e conseguentemente dal bisogno di lasciare
un segno indelebile di quel giorno e del conflitto tra queste due
forme. E’ nata così la mia prima grande tematica , quella della
sproporzione dell’uomo rispetto all’ immensità del disastro, e così
il problema è stato traslato dal sociale all’Arte. Poi sono arrivate
le diverse applicazioni del medesimo lavoro su immagini , spesso
cartoline , immagini rubate dall’immaginario comune riviste e
“corrette”o forse, ironicamente aggiornate…
Ho in mente quella
frase di Hirst, lui è un simpaticone- deve avere messo anche sua zia
in formalina, probabilmente la tiene nell’armadio. O forse in cuor
suo avrebbe voluto farlo lui l’”evento estetico”- a quest’ora
senz’altro sarebbe ancora sottobraccio con Charles Saatchi… Molti
hanno detto che è stata come una “grande performance”-penso che
questa sia la vera ironia , ma di cattivo gusto però. I miei
aeroplani non hanno l’intento di sdrammatizzare ma anzi di
constatare, di rendere visibile l’immenso buco che hanno procurato e
non solo nella tela …non so, dal mio piccolo punto di vista posso
solo dire che è stato il mio inizio, e quegli aeroplani sono entrati
tanto dentro di me quanto nelle due torri.
02 - I tuoi lavori
sono dei teatrini dell?assurdo nei quali l?uomo è spesso in
pericolo, in difficoltà, ridicolizzato dalle sue stesse creazioni,
oppure minacciato da squali o alligatori. Intendi in questo modo
polemizzare con la società contemporanea, effimera quanto patetica
nelle sue presunte certezze e sicurezze acquisite?
RISP:
Le piccole scene rappresentate (si parla propriamente di “scene”
perchè hanno palesemente una loro teatralità) sono sospese,
congelate nello spazio; il referente onnipresente è l’uomo o come
dicono in molti l’”omino”,ed è ben consapevole che il pericolo è lì,
sotto agli occhi, inevitabile e crudele. I micromondi che
pazientemente ricreo sono porzioni, o meglio frammenti di spazi, di
microsituazioni (mari, prati, strade, etc.) dove micropersonaggi
recitano tragedie reali e assurde dal sapore torbido . E’ quindi
facile trovarsi davanti alla riproduzione in scala di aggressioni,
incontri e scontri, incidenti, inseguimenti, potenziali disastri, ma
non per questo situazioni meno assurde e vere. Tutto è lecito ,
tutto è concesso, tutto è concepibile nella sua autentica
drammaticità e il paradosso diventa reale. Il desiderio è quello di
rendere instabile un qualsiasi equilibrio, sradicando ogni certezza
del nostro vivere contemporaneo, e anche del nostro ambiente, quello
dell’arte, che senz’altro ci riguarda più da vicino; si è quindi
sempre sul filo del rasoio(letteralmente..!!!). Vorrei che ogni
“spettatore” fosse chiamato in causa per rivedersi nei miei lavori,
sentendosi intrappolato in una trappola per topi o aggrovigliato
nella fitta ragnatela di un ragno gigante, minacciato durante una
tranquilla abluzione da una pinna di squalo…come leggere un bel
romanzo d’avventure, ma alla fine insinuare il dubbio che potrebbe
essere tutto vero,e posare il libro sul comodino pensando che ӏ
solo un libro” non basta per sfuggire all’ineluttabile destino….
03 - La serie degli imbianchini ha la particolarità di presentare
questi personaggini in procinto di cancellare inesorabilmente
qualcosa, fare piazza pulita, eliminare parole, addirittura il mondo
intero. Cos?è che ti infastidisce in ciò che ti circonda?
RISP:
Immaginavo questa domanda, in effetti quella degli imbianchini è la
mia serie di opere forse più conosciuta e diffusa. Vorrei raccontare
in merito un aneddoto. Tempo fa, con un amico e collega(ebbene sì,
anche noi siamo una categoria di professionisti…) siamo andati
all’inaugurazione di una mostra di un celebratissimo artista
nostrano appartenente ad un periodo della storia dell’arte molto
glorioso. Dopo avere attentamente esaminato le opere presenti(opere
peraltro che studiavamo sui libri di storia), ci siamo guardati
negli occhi e simultaneamente abbiamo pensato(momenti più unici che
rari nella vita di ognuno…incredibile!): MA BASTA! Ma basta ,
capisci?! Non avevamo null’altro da dire perché oramai avevamo
raggiunto il punto di saturazione! Come è vero che alla fine ogni
cosa ti stanca , è altrettanto vero che ogni cosa forzata non
funziona. Forse eravamo entrambi arrivati ad un altissimo livello di
misantropia; forse non avevamo trovato un buffet degno di essere
depredato(…!!!)…o forse c’era e c’è tuttora in me un desiderio di
cancellare e ricominciare, un desiderio di rinnovamento- nell’arte
ma non solo- una rinascita insomma. Credo fermamente che il nostro
mestiere sia di dare qualcosa di mancante al mondo, alla nostra
realtà. Ma non fraintendere, il “ma basta” non è il capriccio né la
ricerca esasperata per la novità svestendosi di un’arte “datata”,
rappresenta piuttosto una rottura con un universo precostituito e
prevedibile, ormai insipido.
I miei
lavori ricercano un ritorno al disordine della natura, di fronte
alla cui perfezione tutte le strutture culturali fondate dall’uomo
mostrano la loro vanità e tutte le costruzioni del discorso la loro
relatività. La sovversione dell’ordine e la conseguente
cancellazione di parole(ormai incomprensibili perché prive della
loro efficacia comunicativa)e di immagini artefatte e sintetiche è
dunque la regola da seguire per restituirsi alla perduta naturalità,
e conseguentemente verso la sua fine abbagliante, verso il nulla
atavico del bianco…
Ci tengo comunque a specificare , per
tutte le persone che hanno fatto parallelismi con capitoli
significativi di poesia visiva degli anni ‘60-’70, che l’intento non
è tanto quello di un’opera formata che consiste in un supporto
cancellato, ma il fulcro del problema è il “work in progress”; cioè
è l’atto della cancellazione che mi interessa , rispetto al
cancellato in sé. E’ il potenziale del gesto(peraltro sempre
compiuto da piccoli uomini) che insinua una possibilità, che parla
di un lavoro che sta compiendosi, non che è già compiuto. E’ l’atto
di un piccolo uomo(sono io..?!?) che cancella o modifica qualcosa
sempre con gli strumenti dell’arte(i pennelli) e attraverso questo
suo occultamento delle forme , durante la sua “micro-performance”,
crea l’opera stessa .
4 - Come ti è
venuta l?idea di utilizzare e assemblare vari oggetti d?uso comune
con personaggi ricavati dalla minuteria per modellismo.
RISP:
Mi piace creare con le mani, partendo dagli oggetti-La mia vita è
stata costellata di oggetti-quale vita del resto non lo è? La mia
casa è piena zeppa di chincaglierie. Mi piace girare per mercatini,
subisco il fascino delle forme, degli oggetti apparentemente privi
di valore , magari dimenticati dalla gente, ma profondamente
evocativi di una cultura propriamente detta “popolare”. Rimango
molto condizionato da ciò che vedo intorno, dai colori e dalle
materie, e penso che proprio questo possa rendere i miei lavori
sempre più attuali e “contemporanei”.
Mi ha sempre
affascinato l’idea del ready made e di intervenire su un
qualcosa di già esistente, di modificarlo tuttavia cercando di
mimetizzare il mio intervento, rispettando la natura dell’oggetto,
spesso con un intervento in miniatura. Il mio amore per ogni
tipologia di minuteria e di componentistica per modellismo
senz’altro mi ha aiutato e in effetti la sproporzione c’è sempre,
proprio per sottolineare l’immensità di ciò che è prodotto dall’uomo
rispetto all’uomo stesso.. E’ così che una semplicissima
spugna,spesso maltrattata in vita e destinata a tutt’altro uso, si
trasforma nelle mie mani diventando un frammento,una “messa a
fuoco”su un tratto di mare stupendo ma assai pericoloso(il suo
spirito di vendetta si fa avanti?). Una caramella Golia ha la
possibilità, invece di essere brutalmente scartata e perdere la sua
valenza simbolica(data soprattutto dal nome biblico), di diventare
“qualcuno” nelle mie opere, addirittura la protagonista..associata
“pudicamente” al David di Michelangelo-così come ricreare un
frammento di mare in un cucchiaio da cucina, offrire una matita
colorata da un pacchetto di sigarette… è un po’come fare i baffi
alla Gioconda- si esce dalle regole del gioco, si fa dell'ironia. E’
una demistificazione del materiale, della moda, la satira del
consumismo attraverso un nuovo consumismo .
5- Quanto pensi siano
importanti nell’arte come nella vita l’ironia, la sdrammatizzazione?
Penso che in un periodo di d’insicurezza totale come il nostro siano
in qualche modo le uniche armi che ci rimangono per difenderci. Tu
che ne dici?
RISP: C’è una
meravigliosa e più che mai esplicativa frase di Beaumarchais nel
Barbiere di Siviglia che dice: “ Mi affretto a ridere di tutto per
la paura di essere costretto a piangerne”. Nell’Arte, o meglio nella
mia Arte , l’ironia è una componente necessaria perché l’alchimia si
compia; è un requisito fondamentale affinchè il lavoro possa far
vibrare le giuste corde. Amo quando le persone vengono a vedere le
mie mostre e hanno il coraggio di sorridere!(alcuni mi hanno
addirittura ringraziato…!) Questo testimonia un lavoro veramente
riuscito. Vuol dire che l’equilibrio tra materia e concetto è stato
raggiunto. Ho sempre apprezzato ,e non solo nell’arte, ciò che mi fa
ridere, ciò che mi diverte ma allo stesso tempo mi stimola a
pensare; e così gli individui che sono riusciti nel bene o nel male
a porre le medesime argomentazioni ma non prendendosi così sul serio
oppure sviluppando la famosa teoria dell’ “uovo di Colombo”(che non
ha nulla a che vedere con l’ornitologia…). Credo che anche l’Arte
stessa abbia bisogno di prendersi poco sul serio(ahia, ahia Trabucco
mi picchia!). Con questo non voglio dire che il mio sia un lavoro
ludico o comico , ma è un “altro modo” di vedere le stesse cose che
vedono e di cui parlano tutti. In definitiva è il mio modo- una
drammatizzazione paradossale in scala ridotta ; come delle piccole
gemme da “wunderkammer”per ricordarti che ci sono diversi universi
di visione paralleli. Ma non dimentichiamo che, come diceva
Francesca Baboni in un suo scritto sul mio lavoro, “ciò che è
ritratto in minori dimensioni non fa meno paura…”
6 - Hai una formazione teatrale, tanto che
per un periodo hai insegnato laboratorio e mimica teatrale. Questo è
un aspetto da tenere ben presente per una giusta comprensione del
tuo lavoro.
RISP:
Sì, dopo il liceo artistico mi sono lanciato nell’avventura del
teatro avendo sempre avuto un grande amore per quest’arte. Il teatro
mi ha molto formato, fisicamente e intellettualmente- dovrebbe
essere un’attività didattica obbligatoria ,a mio giudizio- ognuno di
noi dovrebbe almeno una volta mettersi in gioco nella mimica. Molti
dicono che il mio lavoro è indissolubilmente legato al teatro, e di
certo non posso negare che in ogni mia opera vi sia della
teatralità(si parla appunto di “scene”…). Come dicevo anche prima ,
l’Arte ha bisogno di “mettersi in scena” talvolta, per essere vista
dall’esterno e diventare così il fulcro dell’azione scenica.
Per questo i rimandi soventi alla
storia dell’Arte e alle sue icone, le interpretazioni delle scene
come se sculture , quadri e forme già nel nostro immaginario
recitassero una parte nella commedia delle mie opere. Talvolta mi
piace pensare più che all’individuo che osserva l’opera, all’opera
che osserva l’individuo, e da qui la serie di lavori degli
occhi(elemento sempre molto presente). Gli occhi rappresentano un
tacito osservatore di cui non conosciamo l’identità, ma che incarna
l’opera; anche questo è un paradosso ,ma mi piace che certi miei
lavori risultino come una minaccia o meglio, che insinuino la figura
di un “qualcos’altro” aldilà della materia dell’opera, che ti scruta
come il pubblico dal buio…Esattamente come nel teatro. L’opera è il
palcoscenico dove vengono rappresentate drammi e commedie e noi
siamo gli spettatori, ma talvolta la situazione viene ribaltata,
come nelle “mise en scène” di Artaud o del teorico Grotowsky.
7 - Illustraci la genesi di un tuo lavoro.
Da dove ricavi
le idee, a cosa ti ispiri?
C’è anche qualche
riferimento autobiografico?
RISP:Aveva
ragione qualcuno che diceva che Francesco De Molfetta non esce mai
dalla sua stanza. L’universo delle forme, delle mie forme, si trova
“tra il tavolo e la finestra” (come disse qualcuno…) . I miei
lavori nascono dal profondo amore per la forma(per questo sono
sculture) , da oggetti che mi parlano e io cerco a mio modo di
raccontare la loro storia. Nascono da ritagli di giornale, vecchie
cartoline stanate in soffitta, da bambole di pezza che hanno perso
la loro identità. Le mie ispirazioni sono la mia storia ,fatta di
ricordi e di forme che ho conosciuto e che talvolta voglio
dimenticare. Il mio lavoro si ispira agli scheletri ,quelli negli
armadi , che come in “Arsenico e vecchi merletti” rivivono nella
memoria . Nascono dal dimenticato, da ciò che rinneghiamo e che
tristemente un giorno ci troveremo a dover affrontare; nascono e
crescono con la loro dignità e la voglia immensa di raccontare delle
“altre” storie. Nascono dalla testa di un bambino che non ha mai
smesso di voler giocare , pur di non fare i compiti; e con gli occhi
di un bambino cerco e osservo il mondo grandissimo, immenso- il
mondo e i suoi grovigli di fatti , di immagini, di icone , di
accordi musicali , di film in bianco e nero e fast food
coloratissimi. I miei lavori nascono dai fondi di caffè , dall’ago e
il filo per rammendare i calzini, dai fiammiferi e dalle conchiglie
che , almeno per un attimo , ti fanno sentire il rumore del mare…
8- Stai facendo ora
un’interessante doppia mostra alla Duetart Gallery di Varese con la
tua fidanzata Francesca Fornasari. Lei fa degli acquerelli molto
delicati illustrando però delle situazioni tra il grottesco e il
fiabesco, per certi versi vicini al tuo lavoro. Ce ne parli
brevemente , per quanto possibile?
RISP:
Francesca è per me una preziosa compagna di viaggio. Lavora sulla
carta, disegnando. I suoi acquerelli, tanto delicati ed evanescenti
nella forma quanto torbidi e graffianti nel loro contenuto parlano
di un mondo inquietante e fiabesco abitato da figure ignare di
identità , animali antropomorfi e giocattoli per bambini cattivi. Il
suo universo è tanto microscopico quanto il mio, cinico ed ironico
ma allo stesso tempo drammatico e senza vie di fuga. Anche lei
insinua una possibilità , seppur paradossale , di un’ “ altra
realtà”, mascherata e metaforica , senza sfondi né fronzoli- le sue
“scene” infatti, non hanno mai ambientazioni, sono come sospese
nello spazio del foglio bianco. Il progetto di questa mostra dal
titolo “Fra me e te” nasce come sviluppo delle diverse tappe
espositive condivise durante questi due anni scorsi. I nostri lavori
sono stati presentati insieme nell’arco delle fiere principali e
,seppure molto diversi come supporti e tecniche ,sono accomunati da
tematiche e da universi molto simili. Abbiamo pensato
all’allestimento di questa mostra come all’allestimento delle nostre
reciproche camere. Negli ambienti della galleria ,già di per sé
piccoli e intimi , abbiamo ricreato uno spazio quasi casalingo, con
oggetti rivisitati e quadri appesi come piccoli ricordi di momenti
condivisi o appunti di viaggio. Ci piaceva l’idea che i visitatori
fossero accolti come nelle nostre case, non nello spazio freddo e
asettico delle gallerie convenzionali, proprio per scoprire i
segreti nascosti tra le mura del nostro piccolo regno. Una mostra
informale insomma, e del resto i nostri lavori non ricercano chissà
quale spettacolarità , ma l’attenzione del singolo spettatore che
abbia voglia di ascoltare il nostro sussurrare.
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