Paolo Gubinelli 1975
Parlare delle mie “carte” è pretendere un distacco emotivo-intellettuale e un trasferimento da un linguaggio a me più proprio (quello dell’opera) ad un altro più estraneo, quello verbale, con l’inquietudine e il disagio, sempre di travisare i contenuti e le motivazioni del mio lavoro.
Questo, per onestà; il resto, se può agevolare una lettura dell’opera.
Il “concetto” di struttura-spazio-luce si muove nell’ambito di una ricerca razionale analitica in cui tendo a ridurre sempre più i mezzi e i modi operativi in una rigorosa ed esigente meditazione.
Il mezzo: la carta; anzi un cartoncino scelto per la sua morbidezza e docilità al tatto, e per il suo “candore” (luce) incontaminato da ogni intervento esterno di colore, capace di rimandarmi a emozioni di purezza, di contemplazione quieta e chiarificante. Su questa superficie traccio, con una lama, un’incisione secondo linee geometriche, progettuali (proiezioni, ribaltamenti di piani.....); quindi intervengo con la piegatura manuale delicata, attenta, che crea un rilievo sottile, capace di coinvolgere lo spazio, strutturarlo e renderlo percettibile. La superficie vibra di una struttura-luce che non ottengo con effetti di chiaroscuro dipinto, ma con l’incidenza della luce (radente) sul mezzo stesso, la carta incisa e piegata, in cui mi oppongo rigorosamente alla tentazione di un arricchimento dell’opera. Inoltre, le superfici mutano, variano secondo i punti di vista e l’incidenza della luce; ne deriva una spazialità dialettica che coinvolge lo spettatore in una serie di rapporti dinamici, permettendogli una riappropriazione creativa dello spazio circostante. Le mie “carte” pretendono una lettura non superficiale, ma attenta e prolungata; il loro discorso non è immediatamente percepibile e hanno bisogno di un lettore disponibile per mediare contenuti, motivazioni e stimoli di ricerca.
Firenze, Gennaio 1975
Autopresentazione, Ed. Galleria Indiano Grafica
Firenze, 1977
Descrizione dell’opera
Nella mia attività artistica la “carta” è stata fino ad oggi il mio unico mezzo espressivo: dopo la prima fase di intervento su cartoncino bianco, morbido al tatto, inciso con lama e piegato manualmente secondo strutture geometriche (con effetto visivo di “spazio-luce”).
Sono passato alla carta trasparente (lucido da architetti) sempre incisa e piegata: o in fogli disposti nell’ambiente in progressione ritmico-dinamica, o in rotoli - papiro con lievissime incisioni al limite delle percezioni che si svolgono nell’ambiente. Nella più recente esperienza artistica, sempre su carta trasparente, ho abbandonato il segno geometrico con il suo rigore costruttivo per un segno più libero fatto con pastelli colorati e incisioni appena avvertibili, capace, mi sembra, di tradurre i moti imprevedibili del discorso interiore.
Ultimamente questo linguaggio si arricchisce sulla carta di gestualità e tonalità acquarellate acquistando, mi pare, un significato più intimo e intenso.
Firenze, giugno 2000 Paolo Gubinelli