Tecniche dell’invisibile

Francesco Gallo

 

Paolo Gubinelli è un artista di sottile vena poetica, che privilegia l’evanescenza, la sottigliezza, la trasparenza, lavorando sui tratti minimali, sugli scartamenti molecolari, intervenendo quello stretto necessario per lasciare un’impronta significativa e creare un evento visivo carico di potenziale energetico, in una dilatazione del concetto di astrazione che diventa intuizione d’infinito, spargimento di essenze della visibilità, come una virtuosa polvere di stelle.

Si viene a connotare uno scenario imprevedibile, un set da sogno, in un  attraversarsi reciproco che richiama la visionarietà dello scambio simbolico, come dato d’atmosfericità espressiva, pur in assenza di ogni richiamo esplicito ad un sistema storico, definito.

C’è un inseguirsi, un intrigarsi di segni e di sfibramenti cromatici in una solidità nebulosa fatta di scansioni ritmiche che richiamano un’armonia non prestabilita, sempre in fieri, ma via via raggiunta come tappa costruttiva di un universo, di un sui generis espandersi di pulviscoli segnici e cromatici dove protagonista è la luce che ora più, ora meno, penetra, compenetra, attraversa, diffondendo la leggerezza, conforme al suo  essere e sentirsi in sospensione, in assenza di condizione gravitazionale, per una sfuggevolezza ed una imprendibilità intrinseca.

Una pura spazialità di luce e di colore svincolata da ogni referenzialità, da ogni seduzione del corporeo  e delle sue valenze mitiche e narrative, quindi senza appesantimenti di significati rigidi, che in maniera imprevedibile reagiscono a sollecitazioni che vengono da molteplici direzioni, a  vibrazioni che sono date da un invisibile scontro di molecole,Come in un sogno ad occhi aperti, dove le coordinate linguistiche sono autonome da ogni sensibilità comune nel mondo avventuroso dei colori e non trovano equilibrio, precario e momentaneo, se non nella resistenza del foglio, del supporto che traduce il “fantastico” in “reale”, che è la manifestazione e l’espressione dell’eterno contrasto tra materia e spirito .

Perché poi il bello è questo, che si tratta di piccoli gesti della mano su supporti poveri, che “subiscono” il trattamento in chiave alchemica, facendo dimenticare quello che sono in origine, per quello che appaiono al termine del trattamento, forme dello spazio, più che forme nello spazio, vissute in una chiave sperimentale che  vuole giungere ad uno stato di quiete, d’infinita contemplazione, rimanendo in continua sospensione, possibile appunto per questo suo raggiunto stato per la sua matericità–non-matericità, attenta alla lezione di spazialità che viene da quegli artisti che hanno azzerato il senso quantitativo della rappresentazione come interno ed esterno di un luogo preciso, ma con una sua ben precisa connotazione d’identità che ne fa uno specifico ,una sospensione sublime delle capacità dicendi del linguaggio verbale, nella sua inarrestabile, vorticosa, contaminazione, con quello immaginario..

Gubinelli è un regista attento dell’invisibilità, che nelle sue mani si trasforma in tensione informale, in attraversamento trasversale e contaminante di tutte le poetiche del minimalismo che vengono dai tagli di Fontana e dagli sgocciolamenti dell’espressionismo astratto per ritrovarsi in un diverso congegno pittorico, che è figlio del concettualismo, ma libero di estrinsecarsi ad infinitum, passando per tutte le nuances e gli automatismi che questo orizzonte aperto propone al libro scambio tra essere e non essere, contaminando l’uno con l’altro.

Le piegature del supporto, che chiamano le combinazioni di Bonalumi, Castellani, Simeti, si comportano come esili mappe di un viaggio dell’anima (Toniato) fatto per non incontrare ostacoli se non in se stessi, come brani di un monologo interiore che si svolge come un secretum in cui l’io incontra se stesso in una atmosfera narcisistica e propone un poema senza parole e senza forme del contenuto, perché tutto è aurorale, quasi edenico e in questo senso universale, legato ad un farsi del linguaggio che deve scontare le essenze e le fenomenologie della tradizione, comprendendole in uno slancio verso il nuovo, l’inedito, in scambievole corrispondenza con l’originalità ricca, di una nuova genesi, possibile, quanto necessaria.

Gubinelli conferisce a questo suo impegno di lavorare con una lingua edenica in questo nostro mondo babelico, dove perdita di verità e perdita di unicità, diventano spirito e materia della moltiplicazione, dell’erranza che precede l’architetturalità, il senso e il progetto della costruzione, come coniugazione e sintassi dei pieni e dei vuoti, come tracciamento di un percorso, là dove prima c’era la distesa indefinita della possibilità, di un nuovo inizio.

Paolo Gubinelli, in questa sua scrittura segreta di un libro sul mondo, sul suo modo, fragile e poetico, apprende dai segni tanto quanto dà ai movimenti del suo istinto di vita, tradotti in una personale interpretazione dei sogni della contemplazione e dell’attraversamento, come in un non esserci e in un esserci, praticando la virtù estrema del silenzio e dell’indicibile, come essenza di un monologo interiore che è secretum di uno specchio a cui confessare i volti dell’enigma e le aspirazioni dell’ermetismo.

 C’è una ricerca della poesia in nuce, all’origine di ogni svolgimento verbale, nella sollecitazione dello stupore, in una dialettica asimmetrica tra dionisiaco e apollineo, in cui la propensione per l’impalpabilità e la filtrazione luminosa fanno da oriente per il secondo, come emozione purificante.

La trattazione dell’argomento si presta ad una apertura continua, imprevedibile, dagli svolgimenti liberi ad che non può includere un termine preciso,scontabile, in quanto non si dimostra mai una tesi precisa, ma si sviluppa una teoria in senso etimologico (come in Mario Nigro), come un’opera aperta, un’architettura del desiderio, una filosofia del sentimento, dove architettura e filosofia si specchiano in desiderio e sentimento, combinando una catastrofe  del senso comune.

Tutto, in questo lavoro, si presta ad una aggiunzione imprevedibile, ad una spiazzante poematicità dell’astrazione, che coincide con gli elementi dello stupore per l’opera prima, ignota anche a se stessa, perché apparsa all’improvviso come effetto del sistemarsi delle virtù dell’aria e della materia, mentre spira un vento di genesi e incombe un presagio d’apocalisse.

 

Sicilia Aprile 2003

Ed. l’Arte Grafica Gubbio

Comune di Rimini, Musei Comunali

Galleria dell’Immagine, 2003

 

 

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