FILI, RISAIE, PRESENZE

serie "fili":

       

           

 

la ricerca e i processi cognitivi in genere, ma anche i linguaggi di cui facciamo uso  quotidianamente       ( visivo, comportamentale , orale e scritto ), si attuano in una continua oscillazione tra conscio ed inconscio …  tra riflessioni,   analisi, pensieri  che da un lato dissezionano, disgregano le nostre ipotesi di realtà per  ridefinirle  in modo del tutto razionale alla luce di quanto emerso e automatismi che   condensano e ricompongono  i vari stimoli sensoriali e pensieri  in costellazioni di immagini; sempre nuove sensazioni e strutture mentali …

   "sulla fotografia" stralci

-          la fotografia consente una riflessione sui meccanismi mentali stessi sottraendo tra l'altro l'inconscio

al conscio o meglio facendo emergere ad uno stato di coscienza ciò che era relegato all'inconscio.  ma il conformismo a cui sovente è  legata confina ancora  in troppi casi l'uso fotografico all'assimilazione estetica convenzionale o ad un suo puro uso funzionale erroneamente ritenuto neutrale  o ancora  all'ostentazione del nuovo a tutti i costi vissuto più che altro in modo emotivo

 

-          l'arte, soprattutto dal 900 in poi,  nel suo tentativo di sottrarsi agli schemi e di essere indagine o documento, e in quanto tale anticonformista, sottrae la fotografia dalla sfera ristretta a cui sovente è stata relegata. così come  un suo uso specifico,  dato cioè  dalle  implicite  caratteristiche e possibilità tecniche  consente il superamento di una "definizione" estetica fine a se stessa caricando la realtà di quei contenuti dai quali troppo sovente è alienata avvicinandosi così alle ragioni  e tensioni stesse dell'arte. che in definitiva altro non dovrebbero essere  che quelle della vita di tutti noi e del suo miglioramento   (…utopia?!")                                                                                                … proprio per questo, molte di quelle ragioni,  talvolta sono raggiunte anche nel modo più semplice, atecnicistico e diffuso … se valutate non secondo canoni estetici rigidi e di "valore" ma attraverso un valore che può essere dato anche dall'uso … (è il caso di una foto ricordo o di una banale fotografia  che in contesti particolari si trasforma in documento)

 

  serie "risaie":

      

    "la realtà": stralci        

-          a volte di fronte ad un'immagine , quindi anche ad una fotografia, ci si trova a constatare  una sollecitazione sensoriale. a questo proposito ci si potrebbe chiedere come determinate immagini e loro  particolare disposizione vadano a rimuovere "zone emotivo-sensoriali" legate  a profondi meccanismi di pulsione (fisiologici), ad esperienze passate (psicologiche) o  dinamiche ambientali in atto (sociologiche).  

 

-          la percezione di profondità, per fare un esempio, ha senso solo e soltanto a partire dalla nostra esperienza esistenziale vissuta, anche se  inconsciamente, in continuo rapporto con la gravità o con altri tipi di condizionamento. (sperimentati sia nella loro interezza che attraverso microesperienze paradigmatiche: es. cadere a terra)

 

-          noi riusciamo a percepire spazi astrali e il nostro modo di relazionarci a quelli talvolta ingenera reazioni limite che vanno da uno stupore mistico-poetico fino al terrore.   contemporaneamente solo pochi, rassicuranti, indifferenti metri bastano a  determinare danni irreversibili  

 

-          riusciamo a camminare a terra lungo uno stretto percorso eppure, quello stesso tragitto, ad altezze elevate può paralizzarci

 

-          questo solo per sottolineare quanto la percezione di realtà, l'esperienza e  l'aspetto psicologico siano complessi, sovente non così lineari e in ogni caso  ricoprano un ruolo molto importante  nel nostro modo di essere e agire               

 

-      ma tornando alla fotografia e all'esempio sulla percezione di profondità, se questa rappresentasse un baratro, l' immagine e la sua percezione molto probabilmente andrebbero  ad interferire con  dinamiche  psicologiche legate a meccanismi di difesa, condizionamento, adattamento ….  tanto che sarebbe  facile constatare  come con una  rotazione della stessa immagine, sgomberato il campo da una esagerata concentrazione sulla   profondità, vengono alla  luce aspetti visivi completamente differenti

 

-          tutto ciò evidenzia quanto il fenomeno della percezione sia complesso e quanto pesi nella percezione visiva e nei suoi automatismi (fissazioni comprese)  la nostra esperienza. esperienza, nel caso della gravità diretta e oggettiva, nonostante   parziale,  ma in altri casi mediata da pregiudizi o condizionamenti culturali ben più arbitrari  la stessa realtà piana che noi percepiamo come superficie terrestre potrebbe in un altro contesto apparire "terribile"  ("res tremenda !!!").

     

-          è la gravità (cioè, in questo caso, una costante di cui tra l'altro abbiamo esperienza fin dalla nascita) che ci da' giustamente la sicurezza di rimanere appoggiati al suolo e  non ci rivela la similitudine  "geometrica", teoricamente percepibile come abisso,  della distanza che separa il mio occhio dall'orizzonte: decine o centinaia di chilometri. una visione, la stessa, ma completamente differente che, sotto questo punto di vista e quello del nostro "oggettivo" condizionamento (alla gravità)  sarebbe sconvolgente.  questo vale anche per il contrario, la similitudine geometrica  potrebbe teoricamente ricomporsi  riportando una sensazione di vertigine alla constatazione di una suggestione di cui in realtà è inutile preoccuparsi

 

 

-          di fatto la gravità,  così  determinante , implica  realtà ed esperienze che si attuano in modo del tutto specifico. lo stesso stato della materia ne è "condizionato" se non  in tutte in molte delle sue forme le forze in campo si relazionano e agiscono in termini di costrizione da un lato ma anche di apertura e libertà…

      

-          la visione  nella sua leggerezza e lo strumento fotografico introducono uno scarto attraverso il quale possiamo prendere coscienza e interrogare un' "immagine concettuale" de l mondo ancora e sempre suscettibile di   modifica in quanto non statica e conclusa una volta per tutte

-            quale problema avrà infatti  voluto sollevare schlemmer parlando di un'esperienza dell'attore attuata e "attuantesi" in un determinato ambito (dinamica) spaziale condizionante e stimolante allo stesso tempo? quali nuove possibilità di sollecitazione e risposta?  e come trasferire questa domanda in ambito visivo?

 

 

-          sicuramente il problema era già stato affrontato a suo tempo e con l'entusiasmo di quel periodo che fu il primo novecento … 

 

 

-          " l'apparecchio fotografico riproduce la pura immagine ottica, mostrando così le  distorsioni, le deformazioni, gli scorci ecc. otticamente reali, mentre il nostro occhio integra l'immagine ottica mediante legami associativi formali e spaziali in un'immagine concettuale.  per questo motivo noi possediamo con l'apparecchio fotografico il mezzo più sicuro per dare inizio ad una visione obiettiva.  ciascuno sarà "costretto" a vedere ciò che è "otticamente  "reale", di per sé significante, oggettivo, prima di poter attingere ad una possibile presa di posizione soggettiva.  viene così rimossa la "suggestione"  di un'immagine e di una rappresentazione impressa nella nostra visione da alcuni eccellenti pittori e rimasta intramontabile per secoli. si può dire che noi vediamo il mondo con tutt'altri occhi …"

 

      moholy nagy   tratto da "pittura fotografia film di lazlo moholy nagy" 

      ed.einaudi   

 

serie "presente":

              

 

-          "la fatica"  per inciso

-          molte aberrazioni, violenza compresa, trovano una ragione in impostazioni e percorsi precedenti che hanno lasciato troppo spazio a pregiudizi e frustrazioni della più varia natura.  queste esperienze, "ridotta" a zero ogni  possibilità di comunicazione o azione  riparatrice,  sfociano in sfogo o violenza incontrollata oppure sostenute da più pregiudizi infondati legittimano prepotenze assurde

 

 

-          l'errore è precedente ma è anche immanente.   e una società che lasci troppo spazio a questa divaricazione  non può che   sopravvivere  alle sue inevitabili contraddizioni irrazionali e alla violenza con un senso di fatica e inadeguatezza.

 

-          il cambiamento invece, quando risolutivo, potrebbe essere rappresentato quasi come un punto focale a cui convergono una miriade di altre componenti.  attuabile con facilità e minimo sforzo perché a quel punto non solo apparirebbe come naturale ma sovente, nel senso più esteso del termine, lo è veramente  in quanto risposta negata ad esigenze fondamentali degli esseri umani

 

-          …basta pensare a quale impulso hanno impresso le rivoluzioni alla storia. senza la rivoluzione francese, russa quindi scientifica sarebbero oggi impensabili gli avanzamenti sociali e le aperture raggiunte in ogni campo.

 

 

-          in questi casi, non solo il cambiamento è  stato vissuto nel suo senso più appropriato ma la paura, (è stata)  immediatamente sostituita con quello spontaneo "moto" positivo dato e predisposto da un rapporto più equilibrato e   aderente con la realtà e l'esperienza . nuove progettualità vissute cioè non nell'angoscia ma nella concreta  consapevolezza di una loro reale possibilità di integrazione e realizzazione. infatti sotto mentite spoglie sovente è la società stessa  a imporsi autocensure che , nel  migliore delle ipotesi, sono   funzionali a risolvere i suoi problemi ma che  sovente accusano l'arretratezza degli  strumenti del tempo o la prepotenza e i pregiudizi con cui si afferma un certo tipo di società piuttosto che un altro

       

-          per questo, in molti casi,   irretendo se stessa, o parte di essa, la società  sostituisce e trasferisce, invece di risolvere,  il terrore de/alla prima natura (malattie, mancanza di risorse, ostilità degli elementi …) alla seconda (natura). quella cioè che, organizzata socialmente, e male, a quel punto sovrappone  problema a problema (tanto che fin dall'antichità gli uomini hanno sentito l'esigenza di difendersi sì da freddo, fame , malattie, intemperie ma anche  da  individui, classi o popolazioni appartenenti alla loro stessa specie e dagli apparati da loro predisposti)

"sulla fotografia", "la realtà", "la fatica"  fanno parte di alcuni scritti presentati in occasione della mostra fotografica "la percezione dei viandanti"  urbino 1997 - corretti e rivisti - paola zorzi marzo 2004

Per saperne di più: " in materiale "

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