Restituzioni
Legni di Roberto
Antico
Presentazione di
Francesca Brandes:
Tuto
va e vien…*
Accorsero le Eliadi, sorelle dell’infelice giovane, e
piansero tanto che Zeus – impietosito – le trasformò in pioppi…
Forse sono le scaglie del cocchio del Sole, che qui precipitò con il
povero Fetonte, ciò che raccoglie Antico. Brandelli di sogno
incenerito e corroso. O la prora divelta dei pescherecci in tempo di
maroso, che l’Eridanio ha portato quaggiù, ancora sapida di vernici
e di marcio. Corre rialzato l’argine, in questo paesaggio giovane
dalla lunghissima storia, come un triangolo proteso sul mare.
All’interno, le golene fatte di umido, boschi e piccole isole.
Andiamo, in un pomeriggio di nebbia strana, a bande orizzontali, tra
lagune salmastre e poco profonde, banchi di limo e monelli, e sacche
dove si cattura il novellame. Sul fiume volano gli svassi.
Roberto, con
Caterina, mi conduce a Ca’ Cornera dalle parti di Porto Viro, dove
ha sede un’esposizione permanente dei suoi legni, complice e
mecenate il paron de casa Paolo Gasparetto. Mi racconta come
– dopo anni di tentativi artistici ed esistenziali – gli sia
balenata l’idea della restituzione, quel far ritornare al
mondo, al calore domestico, all’onore delle storie i frammenti
relitti che il fiume risputa dopo le mareggiate: dalla Sacca di
Scardovari, dal Po di Maistra, ancora vibranti d’echi, senza
ritocchi particolari. A vederli nel granaio di Ca’ Cornera –
incredibile spazio, raffinato e consono agli appuntamenti artistici
– fanno l’effetto delle gemme sbozzate dalla roccia. Di più: fanno
l’effetto dei vecchi diari, dei volti polesani, dove s’intrugliano
il greco e l’etrusco. Qualcosa di nobile, e smagato, come la nebbia
invernale e la morgana del giorno estivo, da cui scaturiscono la
terra ed il mare, e cose solide, e matéssi…
I legni di
Roberto – penso allora – sono semi del mondo: con gli anni,
l’artista ha sublimato la visione involontaria fino a distillare
forme autonome, sintetiche. Dentro, a incastro – con il gusto della
coniugazione ed una dignità tenace, di servizio – ci sono millenni
di tensione segreta, trascinanti città sepolte. Da queste parti, la
mente è folle, di una follia solitaria e riservata, capace tuttavia
di deflagranti visioni. I legni sono sopravvissuti per raccontare, e
Antico racconta – con purezza sottile – quanto possa esser limpida
la sostanza, paradossalmente tanto carica di detriti, di scorie e
ferite. Permangono in queste opere (così come nella sorridente
cortesia dell’artista) un rigore discreto, un incantesimo nella
struttura degli accostamenti formali che non lascia spazio alla
furbizia estetica. Un gusto formidabile per il minimo
indispensabile, una scabrezza affettuosa.
A guardare e
riguardare, e poi a ricordare quei materiali che furono altro – e
altro della vita, però, semi di vita, indizi di un transito – mi
convinco che quella di Antico è, innanzitutto, una magia che tocca
il senso delle cose, come un’indagine genetica, una mappa. Allo
stesso tempo, nella misura del legno compiuto (piccola misura
composta dell’anima), vi leggo tutta la forza di chi sa costruire
arte, anche a partire dai naufragi quotidiani, di chi attende sulla
riva e sa osservare, accorpare, scegliere. La scelta di Roberto si
rivela poeticamente artistica, ma lo è anche strutturalmente, nei
dettami di una griglia di equilibri suscitata e sofferta. Così,
l’assunto formale acquista una valenza linguistica, di significante
e trama storica di significato, valore di esistenza concreta e
assieme mitica.
Alle Eliadi, che
ancora contemplano il disastro, per dedica e consolazione.
Francesca Brandes
*
Proverbio veneto,
d’ambito polesano. La forma completa recita Tuto va e vien, e
gnente se mantien. L’impresa d’Antico…fa eccezione, ma gli avi
non lo potevano sapere.
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