MARCELLO DIOTALLEVI
"Lettera da Citera"
25 ottobre - 6 novembre 2008
Nome della Galleria: Galleria "Arianna Sartori"
Indirizzo: Mantova - via Cappello, 17 - tel. 0376.324260
Titolo della mostra: Marcello Diotallevi. Lettera da Citera
Mostra a cura di: Arianna Sartori
Date: dal 25 ottobre al 6 novembre 2008
Inaugurazione: Sabato 25 ottobre 2008, ore 18.00
Orario di apertura: 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso festivi
Marcello Diotallevi è ospite, con una mostra personale, presso la Galerie Arianna Sartori di Mantova, in Via Cappello 17, dal 25 ottobre al 6 novembre 2008.
All’inaugurazione, Sabato 25 ottobre alle ore 18.00, sarà presente l’artista.
“Fiabe al vento”.
…C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria, anzi d'antico…
Queste Fiabe al vento di Marcello Diotallevi irrompono nella sua produzione come qualcosa di nuovo e insieme d'antico, che lo fa appunto accostare a quell'empito che Pascoli coglieva nell'abbrivo del suo L'aquilone.
Il nuovo di Fiabe al vento, più che il recupero del colore, che in realtà affonda le sue radici nella precedente attività di pittore di Diotallevi, è la gioiosa esuberanza dell'uso che l'artista ne fa, uso davvero fiabesco, tanto che il presente ciclo potrebbe, senza soffrirne, essere raccolto sotto il titolo di Fiabe del colore, magari con il sottotitolo di "lettere e colori al vento".
L'antico è, invece, dato da una serie di sostrati che negli anni hanno attraversato l'arte di Diotallevi, dalle sue esperienze di Mail art ai giochi combinatori che caratterizzavano la serie degli Autoritratti formato tessera. Se, infatti, non è difficile reperire il concetto di volo già insito nelle targhette con la scritta "PER VIA AEREA - PAR AVION" che coloravano d'azzurro le buste delle Lettere al mittente e delle Lettere autografiche di Diotallevi, non possono sfuggire, d'altro canto, le assonanze della ricompattazione dei ritagli delle sue fotografie formato tessera con le multicolori geometrie combinatorie dei particolari tessuti utilizzati dall'artista di Fano per realizzare quella sorta di aquiloni, destinati a librarsi sulle pareti o nelle sale degli spazi espositivi, che sono Fiabe al vento.
E non è tutto.
Diotallevi ha ed ha avuto intensi traffici con la Poesia Visiva e nell'ambito della sua declinazione di tale espressione ha utilizzato le lettere dell'alfabeto per accumuli, disseminazioni pluridirezionali, incolonnamenti verticali di esse sulla superficie, costantemente svincolati da qualsiasi senso, per così dire, letterale al fine di acquisirne uno precipuamente visivo, meglio evidenziato in quelle accumulazioni che si organizzavano in conformazioni allusive di immagini, com'è del tutto manifesto nella pubblicazione del 1989 Senza titolo delle Edizioni Tracce di Pescara. Ebbene anche nelle Fiabe al vento, ultimo ciclo da cui prendono le mosse le presenti note, le lettere dell'alfabeto, con la stessa finalità del nonsenso, si disseminano sulle superfici di questi aquiloni d'artista a forarne i "panni", per aumentarne con i loro spifferi d'aria la leggerezza visiva e la definizione disegnativa dell'assemblaggio, sia nell'insieme che nelle singole zone.
Certo, ora il lettering ritagliato sulle resistenti stoffe è esemplato sul disegno di quello utilizzato dagli spedizionieri per scrivere sulle casse. È, cioè, antitetico al finto calligrafismo impulsivo delle Lettere al mittente e delle Lettere autografiche. Ma sia l'uno che l'altro si basano sull'insignificanza concettuale che, in quanto tale, appunto è esaltazione dei valori visivi, che, se in precedenza proseguivano la tradizione del segnismo gestuale, ora esaltano, in piena confluenza con l'astrazione dei disegni formati dagli accostamenti delle "pezze" di vario colore, l'astrattezza geometrica del lettering già utilizzato, seppur con altre finalità, dal pop statunitense Robert Indiana.
Alle spalle delle Fiabe al vento ci sono quei Progetti di volo che Diotallevi ha cominciato a disegnare negli anni Ottanta, raccogliendoli via via in una cartella. Di lì sono nati questi aquiloni d'artista, quasi per una sorta di risarcimento nei confronti della sua infanzia ("io non ho mai giocato con gli aquiloni", ha confessato qualche anno fa il suo autore): e questo spiega perché tale ricerca non abbia imboccato altre strade alluse in taluni disegni raccolti nella cartella, quella, per esempio, del dirigibile, a cui pure non sono stati estranei i Progetti di volo, come sta ad attestare quel disegno del 1986 riprodotto nella seconda pagina del cataloghino che accompagnava l'esposizione di essi, tenuta nella primavera del '91 alla Galleria Fluxia di Chiavari.
Tutto sommato, i Progetti di volo costituiscono un cospicuo quid di antico insito nella novità delle Fiabe al vento. Ma, a ben guardare, l'antico che cova dentro questi ideali aquiloni dell'immaginario pittorico di Diotallevi viene da molto più lontano. Si guardi un dipinto del 1976, ancora intriso di suggestioni baconiane, come Acqua brillante. Ebbene, l'amaca su cui penzola l'uomo è già un incunabolo degli attuali aquiloni, né più né meno di come lo sono le farfalle sciorinate sulla testa del ritratto formato tessera di Collezione 1 (1979), le quali non a caso vengono messe in rapporto con un omologo di stoffa, qual è il papillon al collo del personaggio della foto. Non solo alcune farfalle sono decorate con elementi che richiamano l'attuale lettering, ma una di esse è addirittura a strisce, come alcuni aquiloni (Fiaba al vento 4‑91; Fiaba al vento 2‑92).
Lo stesso connubio tra codice verbale e codice visivo appartengono al discorso da sempre portato avanti da Diotallevi, la cui produzione solo apparentemente muta registro. Infatti c'è in tutto il suo lavoro una consequenzialità che risulta di tutta evidenza a chi sa guardare oltre le mere apparenze. In definitiva tutto il lavoro di Diotallevi è governato da una regola, e sempre la stessa: quella della "ripetizione differente", per riprendere un'acuta indicazione di Stelio Rescio. Tale "ripetizione differente", che è ben palese nel ciclo delle Fiabe al vento, come lo è negli altri cicli, a ben vedere abbraccia tutta la produzione di Diotallevi: le Lettere al mittente, le Lettere autografche, gli Autoritratti formato tessera, i fogli raggruppati nel volumetto Senza titolo e la stessa serie delle Bugie non sono che le tappe differenziate di quella ripetizione che sovrintende alla Weltanschauung del nostro artista di Fano.
Le stesse Fiabe al vento, per la loro ambiguità che le fa somigliare agli aquiloni, ma solo visivamente, poiché, essendo concepite come opere d'arte, in realtà non volano, si propongono sul piano concettuale come omologhe alle testé citate Bugie, che da un lato si riferivano alla parola da cui prendevano il nome e dall'altro lato al supporto per candele, candele che egli inseriva nelle opere, ma flettendole in modo che andassero a "nascondere la lettera 'g' della parola 353 che scorre intorno al piatto portante", come segnalava Mirella Bentivoglio, la quale poi proseguiva: "Dunque, come dichiara la testimonianza verbale mutilata dall'intrusione del cilindro di cera irrimediabilmente flesso, una 'bugia buia"'. Per quanto attiene alle Fiabe al vento la sorpresa determinata dal "buio" è sostituita dal "non volo", cosicché si è passati dalla "bugia buia" all'aquilone che non vola, ossia ad una "bugia" su un oggetto nato per volare. In altre parole, ad un aquilone bugiardo.
Le Fiabe al vento di Diotallevi altro non sono, in definitiva, che aquiloni bugiardi (pittorici, s'intende), in quanto, nonostante le loro morfologie, non hanno nulla a che fare con gli oggetti che, per la loro peculiarità di librarsi in cielo sostenuti dal vento, chiamiamo aquiloni per l'appunto. Queste "fiabe" nascono come reificazione di idee attinenti alla pittura, come metafore pittoriche di quegli aquiloni su cui pure Diotallevi s'è fatto edotto sulla scorta del libro di Oliviero Olivieri. E in quanto metafore hanno finito per incorporare la metafora del vento che dovrebbe farle librare negli spazi dell'arte. Dove, in effetti, si librano ed esteticamente volano, cioè riacquistano un significato pieno e nient'affatto equivoco: quello, appunto, di opere di un artista con gli occhi ricolmi dei colori più gai e con la mente continuamente attratta da forme e scrittura, da effetti visivi e risultati poetici. E proprio per questo le Fiabe al vento affascinano ed incantano uno come me che, al pari di Diotallevi, non ha mai giocato con gli aquiloni e che probabilmente ha risarcito tale infantile carenza ludica con l'amore per l'arte, perché anche gli adulti, nell'intimo dei quali sopravvive il fanciullino di un tempo, hanno necessità di incantamenti vivificanti.
Va ricordato, infatti, che, come è stato detto, "il bambino è il padre dell'uomo". Verità valida per tutti, artisti e critici d'arte compresi.
Giorgio Di Genova
(presentazione tratta dal catalogo della mostra)
Marcello Diotallevi è nato il 24 aprile del 1942 a Fano. E’ vissuto per lungo tempo a Roma dove per un decennio ha esercitato l’attività di restauratore presso il Laboratorio di restauro in Vaticano. Ha inizio in quegli anni anche la sua attività artistica all’insegna dell’irrequietezza. Come pittore prima, poi come scultore nei primi anni Settanta, quindi per un po’ si occupa di grafica e infine inizia a scrivere. Sul finire degli anni Settanta hanno inizio le sue incursioni nell’area della Mail Art e della Poesia Visiva. In oltre trent’anni di costante attività ha collaborato con suoi interventi a libri e riviste nazionali e internazionali. Ha allestito mostre personali nelle maggiori città italiane e in alcune città straniere, partecipando nel contempo a esposizioni collettive in tutto il mondo. Fa parte del gruppo di intervento artistico “I metanetworker in spirit”. Si occupa in prevalenza di installazioni, Poesia Visiva e Mail Art. E’ l’autore della copertina della Guida al Musée National d’Art Moderne Centre Goerges Pompidou di Parigi (Hazan Editeur, 1983).
Dal 1974 vive a Fano.
Marcello Diotallevi: Ironizzando sul Serio
Si pensa spesso all’eventualità di un processo irreversibile che porti l’arte a ripiegare su spazi sempre più angusti, in posizioni di difesa e di conservazione. Una situazione regressiva che la veda, presto o tardi, soccombere, sopraffatta e oscurata da necessità di comunicazione totale, pianificata, continua, estesa a masse sempre più numerose e perciò meno identificate e identificabili, a danno, naturalmente, della individualità e della originalità. Una suggestione millenaristica, che preconizza in termini di catastrofe l’azzeramento delle storie e della storia, e un avanzare sempre più invasivo e totalizzante di tecnologie volte a pianificare e disumanizzare. Chi non avverte tali pericoli e paure?
Ma per fortuna il germe dell’otti-mismo non è del tutto estinto, e vi è chi, continuando ad esser giovane anche oltre l’età anagrafica, dimostra di non subire il lato funesto della profezia, e ne ribalta addirittura le sorti assaporando le nuove opportunità della globalizzazione e dei processi tecnologici, con divertimento, dando dimostrazione di ciò che può venirne di buono. Innanzitutto una maggiore libertà, anche per l’arte, che apra confini nuovi all’espressione e all’inventiva, senza che s’interrompa quel filo diretto con l’artista, con le sue scelte espressive e la sua irripetibile storia.
Nella ricerca di Marcello Diotallevi è facile cogliere questa indicazione e, direi quasi, l’euforia di una sperimentazione che la convalida avvalendosi di situazioni già in atto.
Dopo un approccio con tecniche pittoriche tradizionali e una breve parentesi di scultura, all’inizio degli anni ‘70, le sue prime acqueforti già evidenziano un interesse specifico per il segno, e per le alchimie che esso consente, in una zona sperimentale di confine tra scrittura e figuratività. Ma le scelte più qualificanti e personali di Diotallevi mi sembra che riguardino soprattutto il linguaggio, improntato da subito a una filosofia di multimedialità, con introduzioni oggettuali (i vari libri d’artista) e di immagini anche fotografiche; un linguaggio che coinvolge, in passato come ora, meccanismi concettuali che la intercambiabilità stessa delle tecniche, e del loro uso, ha progressivamente potenziato e arricchito.
E’ quasi superfluo disquisire sui vari cicli di ricerca, che, del resto, una letteratura critica pregevole ha già ampiamente analizzato e descritto, dalle Composizioni di lettere dei primi anni ‘80, alla scoperta della Mail Art e l’esperienza delle Lettere al mittente e delle Lettere autografiche, sino agli “aquiloni” dei Progetti di volo e delle Fiabe al vento e le quasi contemporanee Lettere da Citera. E’ importante invece sottolineare come in tutte queste fasi entri ricorrentemente la poesia, non solo per quella componente di “poesia visiva” che le informa, attraverso l’interazione di pittura (o disegno) e scrittura, ma soprattutto per le traslitterazioni, i trasferimenti improvvisi di senso, le evocazioni, le ambiguità, le illuminazioni che il gioco inventivo riesce a creare e trasmettere.
Diotallevi, praticando questo versante, dimostra consapevolezza che vi sia un’espressione frivola, evanescente, di circostanza, che non si rivolge, neanche come ultima illusione, all’universale, ma resta invece collegata a ciò che passa, destinata quindi ad apparire presto “datata” ed appassire. Ma crede soprattutto alle possibilità di un’arte che cerca invece l’universale attraverso la captazione di ciò che appare evanescente e fuggevole; essa è sì originata da un’attenzione quasi diaristica (di cronaca), alle cose e alla vita, ma cerca l’ineffabile, il senso profondo che ne resta, un riflesso che trascende le stesse apparenze. E’ l’arte che piace a Diotallevi, quella per la quale s’impegna. E l’ımpegno non è soltanto quello tipico dell’artista visivo, di “raffigurare” più o meno poeticamente la realtà, bensì, da regista, di immaginarne e persino di inventarne gli esiti. La virtualità a cui consistentemente si affida non uccide una possibilità interiore, ma semmai l’incoraggia.
Questa mostra di sola grafica, che si appresta a proporre, è una specie di regesto di tutta la sua ricerca. Una certificazione, attraverso le carte appunto, dell’avvicendarsi delle tappe più significative in questo suo orientamento. Ne scaturisce una sorta di diario, a volte autobiografico e quasi intimistico. Dai riposti segreti, emerge tuttavia il divertimento, e si odono risatine sommesse. E’ il gusto dell’ironia e del gioco che, anche attraverso la provocazione e un’apparenza di trasgressione (si consideri a tal riguardo le recenti serigrafie riservate alle Erme e ai Poemi d’amore in forma di paesaggi, dove lo scherzo e lo scherno del sesso introducono a una sorta di farsesco voyeurismo) si personalizza e smentisce l’ineluttabilità di una crescente alienazione e disumanizzazione dell’arte. Una ginnastica mentale che certo Diotallevi ha iniziato a esercitare attraverso il suo lavoro di grafico. E questa è un’altra peculiarità della sua formazione.
Ma nel gioco, nella sua apparente vacuità, nella leggerezza che sempre lo distingue, come nell’infanzia di ogni esistenza, si configurano, al principio inosservate, le antinomie e la fatale energia evoluzionistica della vita, con i suoi aspetti anche negativi. Spesso l’espressione di Diotallevi, dietro ad apparenze ludiche, nasconde velature di tristezza e persino di drammaticità. Non è un caso che i suoi aquiloni invece di volteggiare liberi nel cielo, in alto dove incrociano le nubi, siano affissi alle pareti senza più il respiro del vento che li vivifica; restano i colori e le forme, ma l’immobilità li rende metafore di un rimpianto insanabile. Così le lettere che non possono essere recapitate, o che sono illeggibili, e l’incomunicabilità che vi è sottesa. Aspetti mortificanti di una impossibilità che è dell’uomo, della vita.
Il giuoco dell’arte ha sempre due facce, e quanto più vacua e leggera è una, tanto più profonda e riflessiva sembra essere l’altra.
Questo bifrontismo Diotallevi dimostra di viverlo con intensità di sensazioni, e lo comunica con altrettanta, anche se giocosa, drammaticità.
Lucio Del Gobbo
GALLERIA D'ARTE ARIANNA SARTORI "Arte & object design"
Via Cappello, 17 - 46100 Mantova
Tel e Fax: 0376 32.42.60 - info@sartoriarianna.191.it____________________________________________________________________________________________________