BRUNO MUNARI
ARTISTA TOTALE
di Rudolph Rainer
L'itinerario umano ed artistico di Bruno Munari ha percorso il
secolo scorso quasi per intero, lasciandoci una complessa e non
facile eredità, in gran parte ancora da interpretare. Il suo operare
nel mondo dell'arte (intesa come prodotto sganciato dal concetto di
funzionalità) del designer, della didattica è stato poliedrico e
complesso, per la quantità e qualità di ricerche messe in campo e
per le molteplici sperimentazioni interdisciplinari che hanno
connotato il suo metodo di lavoro, ponendolo spesso, con ciò,
esattamente agli antipodi di quanto il mercato dell'arte (quasi
sempre legato al puro oggetto) chiedeva. Interessato quindi alla
pittura, alla scultura, al movimento, al suono, alla fatografia e
ancora, perfettamente calato nella sua epoca; la grafica, la
pubblicità e poi l'editoria. I libri. Una sorta di ciclo completo.
In molte delle discipline artistiche da lui praticate ha aperto
ulteriori, specifici approfondimenti: per esempio le tecniche della
visione, oppure i metodi di comunicazione riguardanti la didattica
dell'infanzia (penso ai pre-libri) ecc. Indagando persino
problematiche riguardanti i non vedenti, con un'arte e una didattica
per loro. Munari si era formato nella Milano futurista, ma dopo un
decennio di militanza nel movimento guidato da Marinetti cominciò a
ricercare nuovi orizzonti verso i quali dirigersi, e naquero così le
macchine inutili, fatte di materia e movimento. Poi le sculture
pieghevoli e ancora i negativi positivi, opere importantissime che
oggi potremmo interpretare anche come variazioni della simbologia
TAO, prodotti però da un occidentale. Nel dopoguerra Munari era
stato tra i protagonisti del M.A.C, (movimento arte concreta) gruppo
che segnerà una svolta nell'arte italiana ed europea. Ma non intendo
qui ripercorrere le tappe del lavoro di un artista come Munari,
attraversando cronologicamente la sua ricerca, vorrei piuttosto
sottolineare la singolarità di questo suo modo di procedere, dentro,
ma anche fuori, dal mondo dell'arte, spesso con vere e proprie
Incursioni condotte con consapevole determinazione e con ironia
spiazzante. Penso all'olio su tela in una delle ultime Biennali di
Venezia alle quali partecipò con opere a dir poco provocatorie;
oppure penso alle "ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari"
dove l'inversione dei ruoli Spettatore/Artista sono l'essenza stessa
dell'opera. Ma la singolarità di Munari è consistita anche nel fatto
che ogni sua ricerca ha trovato una forma teorica in numerose
pubblicazioni (sia che fosse finalizzata a creare un quadro o un
oggetto di uso quotidiano). Da "Design e Comunicazione visiva" a
seguito delle lezioni tenute ad Harvard, a "Fantasia". Da "Codice
ovvio" a "Artista e designer" per citare titoli notissimi. Ma anche
moltissime collane di diversi editori per un pubblico eterogeneo, ma
sempre presentate con la chiarezza di un saggio antico.
Bruno Munari con il suo metodo ha reso fecondo più di una
generazione di "operatori visivi" come preferiva chiamare gli
artisti. Con lo sguardo sempre attento al mondo della tecnologia ha
per primo intuito che fosse possibile fare arte con una macchina, la
"xerox" così come si potesse fare sculture con un foglio di carta,
da riporre poi in valigia (è contro tutte le dittature, scriveva)
con ciò inserendosi di fatto concettualmente nel pieno di un
dibattito riguardo al senso del fare arte e quindi dando risposta
all'eterna domanda su cosa sia l'arte.
Come dicevo all'inizio la sua eredità non è delle più semplici.
Toccherà ai futuri esegeti dipanare il filo del suo insegnamento
riordinando nel contempo le tappe che in decenni di ricerca (mai
ripetitiva) hanno caratterizzato il suo lavoro. È opportuno quindi
questo omaggio a Munari, che è anche la storia di due citta; Milano
e Cesena, la storia di una collaborazione,la storia di un'amicizia
tra Bruno Munari e Giorgio Villa.
Rudolph Rainer
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