PAOLO SCIRPA

    

           
foto:Giovanni ricci - Annalisa Guidetti                                                                                                                                                                                                           

PAOLO SCIRPA - Storie di luce

Nato a Siracusa nel 1934. Opera a Milano, via Chopin 99

Negli anni 60 soggiorna in diverse città europee. Espone alla 9 quadriennale di Roma; si trasferisce a Milano nel1968. Le sue esperienze si orientano verso
le problematiche oggettuali-cinetiche, richiamandosi ai valori del costruttivismo e del neo plasticismo, fino alle recenti opere tecnologiche.
Nel 1970 realizza i suoi primi corpi ludoscopici in oggettivi. Dagli anni 80 datano i suoi primi interventi progettuali sul territorio, su opere architettoniche e
vedute urbanistiche. Nel 1985 aderisce al <Manifesto della Nuova Visualità di c. Belloli a Milano.
Ha realizzato opere per spazi pubblici ed è presente in numerose collezioni private e pubbliche italiane e straniere.


"Paolo Scirpa va perseguendo negli anni, come serena ma inflessibile determinazione, una posizione affatto singolare nell’ambito della ricerca artistica. Evidenti, e peraltro non occultate, sono le sue poggiature storiche. Da un lato è la cultura del responsive eye, ovvero l’esplorazione e lo sfruttamento delle possibilità della teoria della Gestalt, nel capitolo soprattutto della percezione ambigua, che dalla fine degli anni Cinquanta è stata uno dei filoni più cospicui dell’arte europea. Ciò significa, anche, l’apertura radiante all’impiego paritetico e non ideologico degli strumenti tecnologicamente non tradizionali così come di quelli che l’identità storica delle arti ci ha consegnato: che in Scirpa si ammanta più del valore della meraviglia del senso – che Fontana indicava radicato nel retaggio barocco – più che dello scientismo e del macchinismo che pure tanto peso hanno avuto nei decenni trascorsi. Altra poggiatura è la nozione di virtualità. Qui la posizione di Scirpa si fa più sottile, essendo la sua attitudine maturata sul confine fervidamente ambiguo che esperienze di forte impronta concettuale – penso a casi come Fred Sandback o Nigel Hall, ad esempio – hanno tracciato rispetto a quelle più fisicamente illusionistiche. Lo spazio è, si fa, in lui, una sorta di continua alterità, una topologia nomade e deviante, della quale il gioco di specchiamenti implica valori mentali più ancora che ottici: in una condizione ambientale che è, in sé, a priori separata e altra, nutrendosi di filigrane teatrali, e in una condizione d’esperienza che ha tutta la straordinaria lieve serietà del gioco.
Ludoscopi, un termine che molto sarebbe piaciuto a Jarry, si chiamano le sue macchine di visibilità: così rigorosamente tecnologiche, precise, scientificamente congruenti, da trascolorare infine nella bellezza perfettamente inutile di questa intelligenza dell’effetto.
Il “Ludoscopio a raccordi seminterrati” Percorsi comunicanti, che Scirpa ha presentato alla recente Quadriennale, è esemplare ultimo e compiuto del suo modo di concepire questa sua “arte della visione”. Dei praticabili in pianta cruciforme collocano lo spettatore, nonché nel cuore stesso dell’opera, in una situazione ambientale che non è più quella dell’esperienza ordinaria, ma neppure comporta una modificazione fisica complessiva degli statuti percettivi.
Camminando sopra/nell’opera, lo spettatore avverte le proprie condizioni corporee fondative – lo stare verticale, il rapporto tra la propria verticalità e l’orizzontalità dell’appoggio – modificate, e verrebbe da dire minacciate, dall’affondare dello sguardo in queste vertiginose prospettive. Esse arretrano ad infinitum, in un’illusione di convergenza delle quattro machinae luminose che di fatto sottraggono allo spettatore ogni certezza statica e topica: ma, insieme, egli sa che è una finzione – finzione doppia, e doppia illusione – ed è indotto a vivere questa straniata esperienza corporea e visiva come porzione emotivamente padroneggiabile di esperienza: e come gioco, appunto. Anche in questo caso Scirpa fa mostra di intendere la propria operazione come una messa in collisione esplicita, ed esplicitamente avvertita, tra lo spazio ordinario e quello straordinario attivato dal suo congegno visivo. Non gli importa “ingannare” lo spettatore: gli importa, anzi, attivare e porre in tensione proprio la consapevolezza dello spettatore che di un gioco di inganni si tratta. E’ una consapevolezza che – questa la speranza di Scirpa, l’implicazione etica necessaria – il suo interlocutore possa travasare in consapevolezza critica generale: applicabile e applicata, cioè, non tanto ai giochi ironici dell’artista, ma agli ambiti ben meno innocenti in cui l’inganno visivo e concettuale tenta ogni giorno di imprigionarci."

Flaminio Gualdoni Settembre 2000


Per saperne di più...

areaospiti@bauform.it
HOME