"LA CASA DI ROS"

ZELI VINCENZI ha il piacere di invitarvi all'evento culturale

"LA VIA DELLE NUVOLE"

Il poligono e l’elefante

Note per “La via delle nuvole"

Ad Archimede piaceva giocare con le forme del mondo, creando modelli che potevano assomigliare indifferentemente ad un elefante o ad un poligono regolare: “Non cambia molto – spiegava a discepoli ed increduli – nella sostanza delle cose. Siamo solo noi a definire il contrasto”.

A distanza di tanto tempo, la nostalgia del poligono ci assale spesso come vocazione trascendente, una vocazione di purezza, ma non abbiamo ancora smesso di sognare l’elefante. E’ la contrapposizione che ci attrae in modo irresistibile, o forse la libertà (vera, apparente) di scegliere cosa vedere? L’esperienza di coloro che sono coinvolti nel gioco della libertà è del resto incerta, a tutt’oggi, contingente. Implica gioia e dolore, genera solidarietà ed egoismi, promuove la passione, ma anche l’odio verso il mutamento. L’ambivalenza e gli atteggiamenti contraddittori che alimenta spingono ormai molti osservatori a parlare di crisi dell’intelligibilità: mancherebbero gli strumenti concettuali, così si dice, per risistemare un quadro tanto contorto e frammentato, per immaginare al suo posto un modello coerente. Viene da chiedersi quali debbano essere tali strumenti, quale colla possa tener assieme (visto che non comprendiamo più la sostanza di Archimede) il poligono e l’elefante.

E’ proprio la molteplicità – ci risponde il filosofo tedesco Odo Marquard – anzi, la diversità molteplice a rappresentare una soluzione. Così la strada diviene passibile di deviazioni, come una via tra le nuvole colta nel cielo in un giorno d’estate. Un’avventura che ci fa guardare in alto, per guardare dentro, sempre più in fondo: ed è una fuga frattalica, lo smarginare di un’aerea costa. Una fuga dall’aver coscienza verso l’essere cosciente, una fuga ideale.

L’arte molteplice – come acquisizione di scelta per recuperare la sostanza del vivere – è un occhio vergine. Ci parla di dimensioni, di gioco eseguito e poi dimenticato con pazienza, di parole puntute, di echi. Non possiede ricette infallibili: le ricette infallibili stanno alla libertà come l’acqua sta al fuoco. Però la via delle nuvole ci insegna che quella libertà è il nostro destino. Per queste ragioni – gioiose, sodali radici artistiche, ma anche assunzione dell’utopia come evento in potenza realizzabile, utero sempre gravido, pazzia innamorata del mondo – ci si ritrova qui. Risuonando, nelle vibrazioni di un sensoriale aderire al ritmo della terra (quel nostro tempo profondo che appartiene anche al passaggio delle nuvole) che il compositore Nicola Cisternino evoca nella sua stanza mentale. Delineando l’elefante nel poligono per forma, caso e dimensione, come gli operatori di Verifica 8+1: un fare che riverbera Munari in dettami etico-estetici rigorosi, di serietà lieve, con l’eleganza di chi vede la sostanza e sa anche che è fragile, un castello sulla sabbia dei tempi. E’ gesto di misura, è passo di misura, sulla via che Gavina Rossi ha spiato nel cielo (ed è poligono ed elefante, la sua scelta, uno sguardo puro, un rifugio dal dolore). Su quel derivare, in alto e in fondo, su quell’esercizio molteplice di libertà – infine conquistata – emergono anche le parole di Ruth: contrappunto, eco al testo vibrato dalla mano, forma del gesto. Come una mappa del cielo, siamo qui, mappa stellare senza paura: lungo percorsi spesso diseguali, ma sostanzialmente coincidenti. Camminiamo marcando di segni lo spazio, di note l’aria, di versi il tempo. Con codici differenti, procediamo sulla via delle nuvole: perché la vita è azione differente.

Francesca Brandes

 


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