A proposito di "pas de zero en conduite pour les enfants de trois ans ", intervento di Paola Zorzi da Biella:
commento a "pasde0deconduite pour les enfants de trois ans"
vorrei aggiungere alcune considerazioni allo scritto già inviato in precedenza sull’argomento
sollevate dalla lettura dell’aggiornamento sul tema del “monitoraggio e prevenzione della delinquenza, a partire da una ricerca sistematica di "turbe comportamentali" e sintomatiche tali da lasciar ipotizzare misure di "dépistage" già a partire dai bambini di tre anni”,
breve introduzione:
un tema davvero nodale che, oltre a suscitare riflessioni, ha la capacità di rimuovere molti dei pregiudizi a cui la società è stata costretta a sottostare da sempre per varie ragioni e da cui è ancora, almeno in parte, condizionata.
se infatti il 900 è stato un secolo di grandi avanzamenti in tutti i campi, questi, da un lato non sono mai stati immediatamente fruibili da tutta la società, dall'altro, la società stessa, compresa la parte più emancipata, ha sempre continuato a subire i condizionamenti di un passato millenario relativamente vicino ma molto diverso.
lo stesso ordinamento politico di matrice borghese necessita di continui assestamenti per riuscire a stare al passo delle sue stesse scoperte e delle sempre nuove esigenze dettate da
un mondo in veloce e continua trasformazione.
per assurdo è stata proprio la rivoluzione borghese a permettere quelle aperture e conseguenti sviluppi che poi si è trovata a contrastare in più occasioni. aperture che, al tempo della loro affermazione, erano però impensabili sotto altri regimi politici di tipo più tradizionale.
il progresso scientifico ed economico si è affermato a partire da una oggettiva condizione di profonda e diffusa arretratezza economica e culturale (soprattutto se confrontata al presente)
lo strabiliante successo del capitalismo affonda dunque le sue radici sulla capacità di aprire nuove prospettive ideali e concrete attraverso la soppressione di privilegi dinastici sentiti ormai come obsoleti dalla borghesia e dal “popolo” e attraverso l’affermazione del “diritto” (e/)a una maggiore libertà di pensiero e azione.
condizioni queste che però non avrebbero determinato le accelerazioni a cui abbiamo assistito se non si fossero misurate con rivendicazioni di ogni tipo e dei lavoratori dipendenti in particolare che hanno avuto il compito di limitare i condizionamenti culturali arretrati, preborghesi e borghesi, aristocratici e oscurantisti ancora in atto. una serie di sedimentazioni cioè (queste ultime) che in concreto non facevano altro che legittimare in qualche modo lo sfruttamento sociale e alimentare disuguaglianze contro-natura.
il motore della società borghese a partire da una precedente società spenta da secoli di soggezione politica, religiosa, economica e legittimato dall’emergenza della sopravvivenza non poteva che essere individualista, concreto e immediato. infatti il suo carattere è essenzialmente economico, materiale e individuale. non esistendo ancora una società capace di andare oltre le necessità primarie e in grado di costruire una cultura alternativa alla preesistente, il motore primario della società borghese è stato il profitto e/o guadagno (inteso in termini essenzialmente economici) da raggiungere subito e in modo più o meno ortodosso.
il suo errore quello di pensare che quel “focus” potesse estendersi a tutti, a tutto e per sempre.
per questo motivo non è un caso che molte delle maggiori acquisizioni (in ogni campo) del ‘900 provengano da aree più o meno palesemente critiche del capitalismo stesso e che non di raro si siano affermate con una “certa” difficoltà.
se infatti l'economia ha una sua dignità, soprattutto quando dimostra di aver contribuito alla soluzione di problemi primari di sopravvivenza attestati dai cosiddetti "grandi numeri", è anche vero che questa prima fase di sviluppo si è affermata attraverso una dualità irrisolta.
tutto cioè è stato improntato al guadagno e successo, in poche parole al profitto e capitale.
il resto, compresa la società e la cultura, in questa prospettiva tendono a ridursi a entità strumentali… mentre lo sfruttamento lavorativo, per altri versi, quelli della qualità del lavoro e della vita non ha paragoni in tutta la storia dell'umanità.
centinaia di milioni di persone che di fatto hanno lavorato per 30, 40 anni, magari alla catena di montaggio, con gradi di specializzazione e spersonalizzazione al momento ancora non perfettamente decifrabili.
nel frattempo tutto questo lavoro (energia) si è in parte ribaltato sulla società stessa elevandone lo standard (almeno sotto certi aspetti). la vita media si è così allungata e le persone hanno avuto a disposizione energie sufficienti per svolgere lavori a ritmi sempre più sostenuti.
in queste condizioni non stupisce che permangano molti problemi irrisolti e che , molti di questi, investano il pensiero, la cultura, la società.
contemporaneamente non è inessenziale distinguere se un problema sia un retaggio riferibile a un passato pre-borghese oppure relativo all'attuale situazione storica.
non è raro infatti veder criticato il presente a partire da idee e prospettando soluzioni più arretrate di quelle contestate, col pericolo di peggiorare anziché migliorare la situazione.
così come è stata necessaria una prima rivoluzione strutturale e politica perché potessimo
attendere ad un miglioramento delle condizioni di vita e alle grandi scoperte scientifiche di cui oggi siamo a conoscenza, così sarà necessaria un ulteriore passo avanti che affronti questa dualità (o contraddizione) irrisolta che col passare del tempo appare come un abito sempre più stretto.
innatismo e suoi fraintendimenti
ma, tornando al tema del dibattito attuale, anche in questo caso, una condizione di stress esistenziale mai del tutto risolta attiva la tendenza a trovare soluzioni immediate che arginino una sensazione di insicurezza diffusa piuttosto che affrontare il problema attraverso un'analisi più approfondita.
l’innatismo a prima vista sembrerebbe un tema estraneo al dibattito in corso e nello specifico a questo appello, mentre in qualche modo permea tutta una serie di convinzioni largamente e implicitamente condivise. inoltre è facilmente oggetto di fraintendimenti.
l'innatismo interpretato in modo unidirezionale e "classico" si presta da sempre a colmare insufficienze di tipo culturale e materiale fornendo spiegazioni frettolose oppure, attraverso le stesse misure precauzionali utilizzate, condannando alcune categorie di persone ad una subalternità che in realtà tutti vorrebbero evitare.
in realtà alla base di questo pensiero permangono varie forme di sfruttamento irrisolte e una conseguente scala di valori che sottrae compenso, tensione e dignità a molte attività lavorative e a chi le svolge.
in realtà il problema dell'innatismo è situato in un crinale estremamente instabile e sottile.
questo perché, da un lato, il risultato comportamentale di un condizionamento ambientale non è facilmente
sganciabile da un'ipotetica giustificazione di tipo innatista convenzionale, e dall’altro, il genere umano nel suo insieme è il risultato di un patrimonio genetico comune/mente condiviso.
se infatti alle donne un tempo fu possibile contestare persino l'anima (dunque, in senso laico , il pensiero) questo fu possibile sia per via del potere ecclesiastico essenzialmente maschilista ma anche perché in una società mediamente ignorante, il grado oggettivo della condizione ed educazione che l'ambiente forniva alle donne, poteva alimentare l'equivoco.
alla base di questo tipo di problemi sta la convinzione, ancora troppo condivisa, che il dna e una buona dose di condizionamento genetico siano alla base dell'aggressività e della violenza riscontrate in alcune persone. come dire … geniali o delinquenti si nasce …dunque non resterebbe che scrutare il comportamento umano per ottenere i dovuti riscontri … mentre l'ambiente, l'apprendimento, il condizionamento, lo stress esistenziale non avrebbero troppa influenza.
l’appello – in particolare e in relazione ai temi sollevati-
è legittimo chiedersi quindi se sia esattamente in quest'ottica che viene giustificato un monitoraggio della popolazione, e dei bambini in particolare, per prevenire la delinquenza?
inserisco qui un punto interrogativo in quanto mi sembra strano che l' inserm, che è sempre stato visto in italia (o almeno per quanto mi riguarda) come un istituto estremamente avanzato sostenga questa tesi.
non vorrei che fosse proprio il suo spirito improntato al confronto democratico a costringerlo a dover mediare e fotografare (piuttosto che condividere) una situazione di fatto … se non addirittura a vedersi costretto, in un clima di quasi generalizzata restaurazione, ad intraprendere un'indagine per verificarne una preventivata e quanto mai oggi necessaria risposta mediatica e sociale. (?!)
ma, riprendendo il discorso precedente, quel che è certo è che, appellarsi al dna o alla genetica rischia di attivare una prassi che potrebbe sostituire alla complessità e potenzialità del comportamento umano una specie di controllo di tipo poliziesco, quindi necessariamente riduttivo.
per la stessa ragione, a causa di queste teorie, siamo costretti periodicamente ormai da mezzo secolo ad istruirci sull'ultimo ritrovato in campo scientifico, normalmente proveniente dagli stati uniti , che confermerebbe la presenza della tale sostanza o gene nell'organismo o nel cervello di persone notoriamente violente. oppure, quale retro della stessa medaglia, a doverci misurare con iniziative assurde e deprimenti quali quella dell'istituzione di una banca del seme di premi nobel…(!!??)
è invece fin troppo evidente come, individuata una patologia ascrivibile a questo genere di problema, questa, esoneri la società intera da ulteriori riflessioni di tipo politico e sociale .
le persone violente sarebbero così marchiate anche se molto civilmente seguite, curate e messe nella condizione di non nuocere a se stessi e agli altri.
in realtà però le cose non stanno esattamente in questi termini.
così come un comportamento non può essere ascritto immediatamente al dna così
è impossibile, non tanto riscontrare sostanze particolari presenti in individui violenti, quanto determinare se la loro presenza sia la causa o la conseguenza, magari anche indipendente , di un'azione o di un contesto. molto probabilmente ad ogni azione corrisponde un dato e preciso contesto (anche) bio-chimico ma questo non è ancora sufficiente per determinare se questo possa essere la causa efficiente del fatto in questione.
per quanto riguarda poi l'innatismo relativo al genere umano, l'unica cosa certa che possiamo dire è che innata è la nostra specificità e relativo grado di intelligenza. capacità e funzioni cioè, interamente estensibili a tutto il genere umano, salvo poche eccezioni patologiche non di raro da preferirsi a ben più dannose e odiose forme di idiozia ideologica.
le grandi potenzialità cognitive umane sono sostenute da un sistema nervoso e cerebrale che consta di milioni di gangli nervosi capaci di organizzare patterns e pensieri complessi. la sua flessibilità però è inversamente proporzionale ad una mancanza di precondizionamenti di tipo esclusivamente istintivo. questo significa che l'errore non solo è possibile ma l'apprendimento stesso si determina attraverso più tentativi.
questo sistema ci consente di percepire e organizzare i molti percorsi e ambienti culturali, esistenziali della nostra vita. ma mentre la stessa strutturazione mentale interagendo subisce i condizionamenti dei modi, linguaggi della società e cultura in cui viviamo, questo condizionamento non può essere scambiato per un condizionamento geneticamente predeterminato. o almeno lo è solo in parte e quasi esclusivamente in quanto appartenenti alla nostra specie piuttosto che a qualsiasi altra.
cioè l'innatismo ha senso in quanto determina l'appartenenza comune di tutto il genere umano alla nostra specie con un organismo, funzioni e potenzialità (cognitive di adattamento e altro …) del tutto specifiche (piuttosto che superiori) rispetto ad altri animali. dal punto di vista cognitivo le potenzialità sono infinitamente superiori a qualsiasi tipo di differenza ed essendo relativamente raffinate e complesse non ne compromettono la funzionalità complessiva.
le differenze genetiche, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto cognitivo e comportamentale (piuttosto che immunitario o di altro tipo), che sono quelle a cui maggiormente per assurdo sono riferite, se paragonate alle sue potenzialità multifunzionali, sensoriali, esperenziali sono del tutto ininfluenti.
detto questo va però considerato che l'ambiente può determinare aperture o veri e propri shocks
e chiusure, oltre al fatto che le stesse società a cui ci relazioniamo e di cui subiamo il condizionamento non sono mai del tutto perfette … (come ci insegna la storia).
non sempre sussistono le condizioni materiali, di apprendimento e sviluppo, sia affettivo che cognitivo, adeguate.
contemporaneamente i primi anni di vita sono molto importanti per relazionarsi con l'ambiente nel modo migliore e più equilibrato tanto da segnarne tutta l'esistenza … un po' come avviene con l'apprendimento della madrelingua.
in teoria un intervento adeguato e non invasivo nel più rigoroso rispetto della privacy, è una misura più che condivisibile, già applicata in altri casi e in molti paesi ( negli stati uniti in particolare era stato sperimentato, mi pare negli anni 70, da gruppi di assistenti sociali e psicologi per far fronte agli svantaggi dovuti alla discriminazione razziale e alla povertà) con ottimi risultati.
(questo discorso solleva almeno altri due problemi per i quali occorrerebbe un discorso a parte; il primo, una volta appurata l’inconsistenza del patrimonio genetico nel giudicare una persona, riguarda il passaggio delle facoltà e funzioni da potenziali a effettive. il secondo riguarda la determinazione di quanto incida l’onda lunga dovuta all’emersione dal silenzio di vaste porzioni di popolazione da sempre emarginate che inevitabilmente condizionate dall’ambiente per assurdo sovente tendono ad essere manovrate in senso regressivo).
il rischio, in questo periodo, è che i pregiudizi a cui si è accennato in precedenza e l'attuale clima di insicurezza e crisi economica forniscano il pretesto o si sommino trasformandosi, come è già avvenuto più volte, in concausa di emarginazione e/o sfruttamento.
perché il problema oltre che teorico è anche e ancora politico.
non mi stupirebbe infatti che anche in italia un giorno, i figli degli immigrati (e non solo) ora impiegati nei lavori più duri, dopo aver frequentato scuole pubbliche dove la democrazia sembrerebbe un fatto acquisito. si ritrovino, non senza qualche reazione, ad affrontare immutati ambienti di lavoro dove sembra che il tempo non sia trascorso e i diritti siano rimasti un optional.
altro che innatismo inteso in senso convenzionale!
p.s.
mi scuso per aver affrontato l'argomento in modo molto ampio e indiretto. inoltre mi scuso per le ripetizioni ma l'argomento sembra da un lato di così semplice evidenza e dall'altro di così difficile comprensione ed esposizione ….
biella-pralungo 24 settembre 2006
versione rivista
e corretta 3 ottobre 2006
paola zorzi