L’opera di Ceccobelli alla
Galleria Allegrini
Col passare degli anni mi
risulta sempre meno sopportabile l’ambiguità, quando non la
furbizia palese,di un certo modo di fare arte, o meglio la non
chiarezza nel modo di esprimersi: nelle tecniche, nel gesto, nel
colore, usato per dire quel qualcosa di ineffabile che chiamiamo
arte, a favore di una “nebbia” espressiva che permea e che copre
un po’ tutto quello che si vorrebbe rappresentare o quello (nel
caso di opere dove la concettualità dovrebbe essere fattore
pregnante dell’opera) si vorrebbe significare, quindi far
capire, trasmettere, comunicare. Il linguaggio dell’arte si
avvale oggi di tutti i mezzi: tecniche, materiali e situazioni
atte a trasformare un attimo in un’emozione, una superficie in
luogo suscitatore di sensazioni e riflessioni. Ma se tutto può
esser fatto “scendere in campo” è bene che tutto venga
soppesato,vagliato,misurato prima dell’uso, con misura,
sensibilità e,soprattutto,onestà intellettuale.Tutti questi
fattori che ritengo virtuosi non mi pare emergano nell’opera di
Ceccobelli, presentato a Brescia dalla Galleria Allegrini,
piazza Cesare Battisti 17.Questo facitore di assemblaggi
eterogenei, privi di ogni perché estetico in grado di
giustificare la loro compresenza su una superficie, dopo
migliaia e migliaia di opere eseguite in oltre un ventennio,
conserva la gratuità, la nebbiosità, la non chiarezza espressiva
che hanno caratterizzato il suo lavoro.Siamo lontani da un’arte
che si proponga come riflessione, sia essa estetica o etica.
Farà successo!
Beppe Bonetti