Italo Medda: Opere di carta
Da oltre un lustro la produzione artistica di Italo Medda si è prevalentemente orientata sulla costruzione di opere interamente realizzate con l’uso quasi esclusivo della carta . (…) I primi “arazzi”, (in questo caso si trattava di strisce di carta ritorta e intrecciata su telaio secondo una tecnica tradizionale) sono stati realizzati nel 2001, in occasione della mostra “Il pianeta carta nel terzo millennio”, tenutasi al Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari (Roma) e poi presso il Civico Museo di Serrapetrona (Macerata), entrambe a cura di Stefania Severi, che, in quell’occasione, scriveva :” (…) Il tutto con una profonda coscienza della terra, la Sardegna, in cui ha scelto di vivere, nell’intento costante da un lato di scongiurarne l’isolamento dall’altro di esaltarne le peculiarità. Così il suo fare oscilla dall’antichità al futuribile in un coinvolgimento di varie forme espressive. Il suo ‘Mediterraneo’ è un tessuto di carta che esplicita che ogni armonico progresso, qui indicato dal far rinascere la carta, può ottenersi solo salvaguardando gli antichi valori, qui individuati nella tecnica del tessuto a mano”.
Gli arazzi più recenti , o “Antiarazzi”, come preferisce definirli Raffaella Venturi, ma anche le opere che direttamente derivano da quella esperienza operativa e che assumono le forme più varie e che, con l’aggiunta di altri materiali di riciclo, come per esempio la gomma piuma, ampliano la gamma delle possibilità espressive e formali, sono invece realizzati con strisce di carta tagliate e piegate in varie fogge e incollate su un supporto anch’esso di carta, anche in questo caso senza alcun intervento pittorico, e combinate in varie declinazioni e con soluzioni che solo in qualche caso sembrano rimandare a esempi di creazioni tradizionali: le composizioni sono necessariamente “suggerite” dalla particolare tipologia delle carte, sempre di uso comune come, per esempio, la carta da imballaggio o quella da regalo.
In realtà si tratta, ovviamente, di un pretesto per sottolineare il ruolo che questo materiale, spesso poco considerato, e che direttamente rimanda ad un uso pratico e quotidiano, può assumere come mezzo e stimolo per la creatività artistica.
Seppure non sarei del tutto sicuro, così come sostiene anche Placido Cherchi, che il pretesto di fondo sia il muoversi all’interno di una “maniera” che corteggia l’idea di arazzo. Molto più persuasivo, in termini di pretestuosità, potrebbe essere l’idea di arazzo come pretesto per altro. Nel senso che, ancora una volta, il fare di Italo insegue obiettivi di tipo autoreferenziale, non importa a partire da quale motivazione.
Lo dimostrerebbe bene, anche in questo caso, il gioco di cromatismi che si intreccia, spensierato, nei tessuti di un ordito decisamente estraneo a qualsiasi ophélimos.
Palmiro Bona, Lugano, febbraio 2005
La carta nell’arte
“Collacarta” alla galleria G28 di Cagliari nel 1999, “World Festival of Art on Paper”, a Kranj (Slovenia) nel 2000, “Il pianeta carta nel 3° millennio” al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari a Roma nel 2001, “TraCarte” al Museo Civico di Foggia nel 2006 e, più recentemente, “Carte & Carte” presso l’Associazione Man Ray di Cagliari, sono alcuni appuntamenti caratterizzati da una particolare attenzione intorno al “pianeta carta”. A dimostrare come da sempre questo materiale sia supporto privilegiato nelle elaborazione artistiche, non solo superficie pittorica ma anche – come negli esempi citati – essenza, strumento espressivo dell’opera.
Carta uso mano, vergatina, retinata, pergamenata, di stracci, carta riso, carta paglia, bambagina, marmorizzata, crespata, patinata, assorbente, da ricalco, da spolvero, da cancelleria o da stampa, liscia, goffrata, per acquerello, per calcografia, emulsionata, per xerox, eliografica, paraffinata, cartapesta, riciclata, da parati, da imballaggio, cartoncino, cartone, carta velina …
La carta ha una lunga storia. Nata in Cina e, parallelamente, in Corea, fu introdotta in Europa dagli Arabi nel Medio Evo e, proprio in Italia, Fabriano, piccolo centro a ridosso degli Appennini, produsse i primi maestri cartai del vecchio continente.
E’ superfluo sottolineare quanto l’invenzione della carta abbia contribuito al progresso umano, specie da quando la produzione di materiali scritti, grazie alla successiva invenzione della stampa (“La rivoluzione inavvertita”, così la chiama Elizabeth L. Eisenstein nel suo celebre libro), cominciò a spostarsi dalla scrivania degli amanuensi alla bottega dello stampatore, rivoluzionando tutte le forme della cultura ed entrando con tale forza nel costume da influenzare, anche in senso concettuale, perfino il lessico quotidiano: carta canta, passa carte, vedere o nascondere le carte, carta da musica (quella dove il compositore dispone le note sul pentagramma ma anche il pane carasau, il pane sardo di grano duro), le sacre carte, fare le carte (nel senso di preparare i documenti o di azzardare improbabili divinazioni), carta bollata (strascico feudale accanitamente conservato fino ai nostri giorni), carta di credito, carta telefonica, carta del lavoro (faticosamente conquistata dalle classi lavoratrici e oggi fortemente rimessa in discussione dai “nuovi” sistemi di produzione), avere le carte in regola, imbrattacarte, avere carta bianca, carta moneta, disfare le carte, cambiare le carte in mano, forzare le carte, mettere le carte in tavola, tentare una carta, mandare a carte quarantotto, giocare l’ultima carta, scartare, ovvero liberare dall’involucro ma anche togliere dal mazzo, e non solo delle carte da gioco, stomaco di carta ... E, per finire, Carta Costituzionale, patto di garanzia fra i Cittadini e lo Stato, che certuni vorrebbero cambiare, chi a carte scoperte e chi arrivando addirittura a fare carte false, col rischio, o col recondito desiderio, di farne comunque carta straccia.
Ma se è vero che la carta è per eccellenza il luogo in cui si sono “fissate” le idee e attraverso cui si è trasmesso il sapere, conservando ancora oggi inalterato il suo fascino nonostante tutto, è anche vero che, per la sua grande duttilità, resistenza e leggerezza, è stata da sempre il più versatile fra tutti i materiali d’arte e d’artigianato, arrivando ad assumere, in senso metaforico, persino valore simbolico di purezza e leggerezza: strisce di carta piegata, come offerta e segno della presenza del Kami (Ente Supremo) nel tempio o a rappresentare i quattro aspetti tradizionali dell’anima – la parte eterna dell’Essere - , sono precisi riferimenti simbolici e rituali della religione Shintoista. I grandi draghi serpeggianti, vere e proprie maschere collettive di carta colorata, che ondeggiano fra ali di folla punteggiate da mille lanterne – anch’esse di carta – nelle sfilate rituali cinesi, le diafane pareti scorrevoli della casa tradizionale giapponese o i buffi personaggi di cartapesta che giganteggiano sui carri allegorici nelle sfilate di carnevale, testimoniano anch’essi la presenza continua e ininterrotta di questo materiale nelle più semplici come nelle più alte espressioni delle culture, sia in Oriente che in Occidente. Dai cartoni su cui gli artisti del passato preparavano, a grandezza naturale, i modelli definitivi da trasferire sugli affreschi, sui mosaici o sugli arazzi che intendevano eseguire, ai più piccoli oggetti d’uso, compresi i tanti accessori realizzati ancora oggi dall’industria dell’arredamento, della moda o del tempo libero. Dagli incanti poetici e la meraviglia tecnica delle stampe giapponesi, dalle cui immagini scaturisce un fitto intrecciarsi di simboli e allusioni, e che tanto hanno influenzato gran parte dell’arte europea di fine ottocento, ai papier collé di Picasso e Bracque o ai decollages di Mimmo Rotella e Hains che, con le sovrapposizioni e lo strappo dei manifesti pubblicitari, oggetti effimeri che declinano nel volgere di uno sguardo, “alludono al rapido mutare del volto della città” (Argan) e alla caducità di molta invasiva e frettolosa comunicazione del nostro tempo. Per non parlare dei giocattoli, e qui il nostro pensiero corre dritto al mai dimenticato cavallino di cartapesta o alle bambole con i riccioli e le guance rosa oppure, ma questo vale solo per i più sofisticati, ai “libri non libri” di Bruno Munari. Ritagliata, piegata, colorata, incollata, modellata, la carta ha cullato a lungo le nostre fantasie infantili, calda, morbida, sempre disponibile alle nostre avventure manipolatorie: costumi teatrali, maschere e travestimenti, aquiloni, castelli, animali fantastici ci hanno permesso di cambiare pelle, città, pianeta, tempo; vivere tutta una vita in un istante, rivoltare il mondo sottosopra per vederlo dall’altro lato, convinti che le zucche potessero diventare carrozze ( cosa che effettivamente succede ma non tutti se ne accorgono) e varcare la soglia che conduce al paese dei sogni vissuti, dove tutto diviene possibile.
Un omaggio alla carta, quindi, questa attenzione, ma anche un segnale d’allarme, una occasione di più attenta riflessione sui problemi che pone il rifornimento della cellulosa con cui la carta viene fabbricata, essendo il legno l’elemento base che ha finora garantito la sopravvivenza dell’industria cartaria. All’enorme sviluppo del consumo di carta in questo secolo ha, infatti, corrisposto il prelevamento indiscriminato della materia prima, col conseguente impoverimento del patrimonio boschivo mondiale che ha prodotto notevoli danni all’equilibrio ecologico (per non parlare dell’inquinamento derivante dalle fasi di fabbricazione). E tale problema assume particolare rilevanza – come sostiene Federico Sposato in La civiltà della carta, Editori Riuniti – poiché si tratta di una produzione che si collega alla diffusione delle idee e della cultura e non a una industria che produce un qualsiasi bene di consumo. Infatti – argomenta ancora Sposato – anche nell’ambito più ampio dei mezzi di comunicazione di massa, il sistema comunicativo e formativo è essenzialmente fondato sulla stampa, essendo i libri e i giornali i canali nei quali, prevalentemente, si articola tale sistema.
Il problema è quindi quello di poter mantenere sempre adeguata la produzione di carta (una limitazione in questo senso creerebbe seri problemi al sistema culturale, legato com’è al largo pubblico di studenti, insegnanti, formatori e alla vasta area della ricerca e della produzione artistica e porterebbe a pericolose tentazioni di monopolio col rischio di restringere e incanalare in modo univoco la diffusione delle idee, costituendo conseguentemente una seria minaccia alle libertà democratiche) e nello stesso tempo di ridurre i pesanti costi ambientali. Alcune industrie sono già impegnate in questo senso, nell’utilizzare cioè prodotti naturali alternativi, ad alto contenuto ecologico (alghe, scarti della lavorazione del cotone, mais) e che parimenti garantiscano valide caratteristiche qualitative e d’impiego del prodotto.
Un’altra tappa verso un atteggiamento più attento nello sfruttamento e nell’uso dei beni naturali in risposta a una più diffusa e partecipata cultura ecologica dei cittadini.
E qui ci torna alla mente Bob Dylan, quando, in modo divertito, invitava Allen Ginsberg a cantare i suoi versi piuttosto che a scriverli su fogli di carta, evitando così di scorticare le foreste. Gli alberi, siamo certi, erano d’accordo con lui.
Italo Medda